In questi anni abbiamo lavorato duramente per rispondere alle sfide poste dal PNRR, dal Piano Triennale per l’informatica nella PA, e dalle aspettative di cittadini e imprese. Ma spesso lo abbiamo fatto rincorrendo adempimenti, senza riuscire a costruire una strategia di lungo periodo.
Ora serve un cambio di passo. Per non sprecare l’occasione – e soprattutto per evitare che l’innovazione si trasformi in un problema di sostenibilità economica, caos documentale, o peggio ancora in nuove forme di inefficienza – ci sono alcune cose che possiamo fare subito.
Azioni concrete, praticabili, che ci permettono di trasformare il digitale in una leva di miglioramento reale.
Costruire la sostenibilità economica: dai contratti esistenti alla pianificazione post-PNRR
#sostenibilitàeconomica
In molte amministrazioni, i contratti ICT sono cresciuti negli anni come un mosaico disordinato: software acquistati per esigenze urgenti, servizi attivati per progetti specifici, licenze sottoscritte una tantum ma poi dimenticate.
A questo si è aggiunta, con il PNRR, una valanga di nuovi progetti digitali con contratti che hanno costi di esercizio ricorrenti. soprattutto in riferimento al passaggio al cloud, alla moltiplicazione dei partner tecnologici con l’attivazione di SEND derivante da politiche di lock-in dei fornitori, alla mancanza di interoperabilità.
Spesso non esiste un vero censimento dei contratti attivi, né un confronto tra ciò che è acquistato e ciò che effettivamente serve o può essere ottimizzato. E soprattutto, manca una pianificazione di come sostenere economicamente tutti questi servizi dal 2026 in poi, quando i fondi straordinari finiranno.
Fase 1: Analisi dell’esistente
Il primo passo riguarda il leggere davvero i contratti – si intende: analizzarli, capirne la durata, il perimetro, le clausole e mapparli ed è il primo passo per ridurre sprechi e riallocare risorse.
Questa operazione può portare a scoprire:
- Software che svolgono le stesse funzioni o funzioni simili
- Costi occulti per servizi mai utilizzati o per cui il costo non vale l’utilizzo
- Opportunità di consolidamento e razionalizzazione
- Clausole di recesso vantaggiose non sfruttate
- Possibilità di rinegoziazione dei termini economici
- Contratti PNRR con impegni economici futuri sottovalutati
Fase 2: Pianificazione della sostenibilità futura
La domanda cruciale è: come garantire continuità ai servizi essenziali quando i fondi straordinari finiranno?
Serve un lavoro lungimirante su più fronti:
- Rivedere i bilanci per identificare e riservare spazio in spesa corrente, eventualmente spostando spesa corrente da altre fonti o valutando miglioramenti dei canoni esistenti
- Valutare alternative open source (se possibile) e soluzioni a minor costo di gestione rispetto a quelle a volte contrattualizzate durante il PNRR per il poco tempo rimasto per scegliere o per la sicurezza di “passare l’avviso”
- Pianificare dismissioni graduali di servizi non essenziali o sovrapponibili o diventati obsoleti nel post PNRR, o includibili in altri contratti. Ad esempio ha proprio senso avere contratti per SPID e CIE separati dai contratti per i servizi sul sito, o meglio uniformarli? O magari contratti per SPID e CIE sul portale dei pagamenti che potrebbero essere uniformati al portale stesso? Può anche essere che servizi pensati per un uso massivo non lo siano, al che vanno dismessi o promossi meglio?
- Negoziare con i fornitori piani di sostenibilità economica a lungo termine
- Lavorare in rete con altri comuni per economie di scala e consolidare e condividere servizi con altri enti, riducendo duplicazioni costose
Le domande da porsi sono semplici, ma potenti: “questo contratto serve davvero?” E se sì, chi lo usa, come, e con quali risultati misurabili? “Come possiamo permettercelo anche dopo il 2026? Il contratto cosa garantisce a livello di Service Level Agreement, sovranità digitale, privacy, cybersicurezza, backup e costi nel medio periodo”
Azione concreta: Dedicare 3 ore a settimana per i prossimi 3 mesi a: revisione sistematica di tutti i contratti ICT attivi (prime 6 settimane) e stima realistica di tutti i costi ricorrenti post-PNRR con identificazione delle coperture necessarie (seconde 6 settimane).
Riorganizzare la gestione documentale dell’ente
Nel cuore di ogni processo della PA c’è un documento. O meglio: c’è una serie di documenti, atti, metadati, flussi, fascicoli che dovrebbero seguire una logica ben precisa.
Il problema? Troppo spesso il manuale di gestione documentale è un file PDF depositato su un sito nell’apposita sezione della trasparenza, scritto per adempimento, ma mai utilizzato davvero come strumento operativo.
Il manuale della gestione documentale non è un documento formale. È un progetto organizzativo, un modello per rendere ordinata, tracciabile, sostenibile la vita documentale dell’ente.
Serve quindi:
- Leggerlo, rivederlo, aggiornarlo con tutti i responsabili di settore
- Farlo diventare uno strumento di lavoro vivo e consultabile
- Progettare i procedimenti amministrativi a partire dalla documentazione che producono è tipico del mondo analogico. Nel mondo digitale è più complesso perché il flusso è sostanzialmente informativo e di processo, strutturato proceduralmente, che prevede come output i documenti amministrativi, quindi formati e trattati secondo norma e regole tecniche. Il manuale di gestione deve contenere e rendere chiara questa complessità, per migliorare il funzionamento complessivo dell’ente e non solo la sua produzione meramente documentale.
- Formare il personale sul suo utilizzo pratico
- Monitorare periodicamente la sua applicazione
Una PA che non controlla il proprio ciclo documentale è destinata a perdere tempo, a duplicare attività, e a essere vulnerabile dal punto di vista giuridico e di trasparenza, a pensare che il documentale sia il fileserver, quando invece è uno strumento di fasciolazione e successiva conservazione di documenti, oltre che di definizione di procedimenti.
Azione concreta: Organizzare entro 30 giorni un tavolo di lavoro interdisciplinare per la revisione (o scrittura) del manuale di gestione documentale.
Liberare risorse automatizzando i processi ripetitivi
In un mondo dove le tecnologie RPA o Robotic Process Automation, l’intelligenza artificiale e l’interoperabilità sono sempre più facili (perlomeno tecnologicamente), fare a mano operazioni ripetitive è uno spreco di risorse umane qualificate.
Eppure molte amministrazioni continuano a svolgere, ogni giorno, attività che potrebbero essere facilmente automatizzate.
Non serve reinventare tutto. Basta partire da una domanda chiave: “Quali attività nel mio ente si ripetono ogni giorno, seguono regole fisse, e sono fatte da persone che potrebbero usare il tempo in modo più strategico?”
Esempi di processi da automatizzare
- Protocollazione di documenti con criteri standard
- Invio di notifiche, PEC, reminder automatici
- Verifica di condizioni anagrafiche o catastali tramite banche dati pubbliche
- Generazione di report periodici e rendiconti
- Controlli di completezza documentale
- Aggiornamento automatico di database interni
Attenzione: automatizzare non significa sostituire le persone, ma liberare le loro competenze. Significa dare ai dipendenti il tempo per fare ciò che le macchine non possono fare: gestire relazioni, prendere decisioni complesse, innovare, seguire i cittadini. Automatizzare è una direzione, nonché una necessità per la riduzione del personale dei comuni, ma non è necessariamente l’unica ricetta per migliorare la risposta pubblica ai servizi richiesti da cittadini ed imprese.
Azione concreta: mappare in 30 giorni tutti i processi ripetitivi del proprio settore e identificare i primi 3 candidati all’automazione.
Governare l’intelligenza artificiale con scelte consapevoli
Negli ultimi mesi, l’intelligenza artificiale è entrata nel dibattito anche nella PA. Ma troppo spesso viene vista come una “bacchetta magica” o, al contrario, come una minaccia da evitare.
La verità è che avremo bisogno di una nuova alleanza tra persone e macchine, ma per costruirla dobbiamo fare scelte consapevoli e strategiche.
Nel prossimo futuro, avremo probabilmente meno dipendenti e più tecnologie. La domanda non è se questo succederà, ma come lo vogliamo gestire:
- Quanti processi affideremo alle macchine e con quali garanzie?
- Quali competenze umane vogliamo valorizzare e sviluppare?
- Come garantire un uso etico, responsabile, trasparente, utile dell’AI?
- Come proteggere i dati sensibili dei cittadini?
- Come evitare che la PA diventi dipendente da soluzioni esterne/private poco governabili?
Serve una regia pubblica forte. E servono scelte concrete: prima le persone, poi le tecnologie. Prima l’organizzazione e i processi, poi i chatbot e le soluzioni appariscenti.
Azione concreta: Definire entro 60 giorni una pre-policy interna sull’uso dell’AI, con linee guida chiare su cosa è permesso, cosa è vietato e cosa richiede autorizzazione.
Sviluppare cultura digitale attraverso una formazione strategica
Il digitale non è “una cosa da tecnici”. Non è un problema relegato al CED. Non è solo una questione di rispetto delle normative.
È una competenza strategica, che deve essere compresa e padroneggiata da tutti i livelli dell’ente, in primis: dirigenti, responsabili di procedimento, personale amministrativo, addetti alla comunicazione. Esternalizzare il digitale è solitamente sintomo di paura o di incomprensione del suo ruolo strategico di cambiamento in un ente.
Per questo serve formazione a tutti i livelli, anche se purtroppo spesso è:
- Troppo teorica e distante dalla realtà operativa
- Limitata al rispetto delle regole e degli adempimenti
- Poco esperienziale e coinvolgente
- Episodica anziché continuativa
- Amministrativa e poco tecnica e operativa
Serve una formazione diversa:
- Orientata ai casi d’uso reali dell’ente
- Basata su problemi concreti e soluzioni pratiche
- Capace di generare cultura digitale, non solo conoscenza tecnica
- Differenziata per ruoli e responsabilità
- Aggiornata costantemente sulle evoluzioni tecnologiche
Se non formiamo adeguatamente le persone, rischiamo di vanificare tutti gli investimenti fatti. Perché nessuna tecnologia può funzionare efficacemente in un’organizzazione che non la comprende, non la padroneggia e non la sente come propria e non la considera motore di un cambiamento organizzativo..
Azione concreta: Progettare entro 30 giorni un piano formativo annuale con almeno 20 ore di formazione digitale per ogni dipendente, differenziato per ruoli e mansioni, oltre che per interesse (quindi ascoltando anche le inclinazioni dei dipendenti).
Comunicare il digitale per creare consenso e continuità
Uno dei più grandi ostacoli alla trasformazione digitale non è la tecnologia. È la mancanza di comprensione condivisa del perché il digitale serva, come funzioni, quali problemi risolva e cosa implichi davvero per cittadini, dipendenti pubblici e decisori politici.
La comunicazione del digitale, troppo spesso, è limitata a sigle, adempimenti, linguaggi tecnici. Ma se vogliamo costruire consenso e continuità, se vogliamo che il digitale sia percepito come leva di valore e non come peso, dobbiamo imparare a raccontarlo meglio.
Serve una nuova narrazione, chiara e concreta. Una narrazione che risponda a due grandi esigenze:
Spiegare il digitale ai cittadini
I cittadini non chiedono tecnicismi. Chiedono semplicità, efficienza, trasparenza. Chiedono di capire perché un nuovo servizio esiste, cosa cambia rispetto a prima, cosa devono fare e cosa possono aspettarsi in termini di tempi, canali, risultati.
Per questo, ogni progetto digitale dovrebbe avere:
- Un piano di comunicazione al cittadino, integrato nel progetto stesso
- Linguaggi accessibili, esempi pratici, tutorial semplici, micro-video, infografiche
- Attenzione alla diversità degli utenti (anziani, persone con disabilità, cittadini fragili)
- Canali bidirezionali: non solo informare, ma anche ascoltare segnalazioni e feedback
Azione concreta: Per ogni progetto digitale, destinare il 5% del budget e del tempo a una comunicazione chiara verso il cittadino, fin dal momento della progettazione, non solo in fase finale.
Coinvolgere la politica
La politica ha un ruolo chiave nella trasformazione digitale, ma spesso è coinvolta solo a valle, per firmare una delibera o fare un comunicato stampa. Serve invece un coinvolgimento attivo, consapevole, costante, soprattutto nella fase di indirizzo e di valutazione d’impatto.
Un politico informato:
- Sostiene i progetti anche nei momenti difficili
- Difende le scelte davanti ai cittadini e agli stakeholder
- Aiuta a costruire visione di lungo periodo
- Fa pressione per ottenere risorse e semplificazioni normative
Azione concreta: Organizzare incontri periodici di confronto tra RTD/dirigenti e amministratori politici (giunta, consiglieri, assessori) per spiegare in modo chiaro:
- Stato dell’arte e risultati raggiunti
- Prossimi obiettivi e bisogni di supporto
- Valore pubblico generato dai progetti digitali
Il digitale non basta farlo. Bisogna anche saperlo raccontare, spiegare, legittimare. È una questione di trasparenza, di partecipazione, ma soprattutto di costruzione di fiducia.
Costruire ogni giorno una PA digitale consapevole
La trasformazione digitale non è un’opzione facoltativa, né un progetto isolato da completare una volta per tutte. È una scelta quotidiana di gestione, cultura e direzione strategica.
Non servono grandi rivoluzioni o stravolgimenti. Basta cominciare con metodo e farlo bene, magari partendo proprio da questi punti concreti e misurabili.
Il futuro della PA si costruisce ogni giorno. E si costruisce con metodo scientifico, consapevolezza delle sfide, concretezza nelle soluzioni. Per non sprecare le opportunità create dai miliardi del PNRR e per costruire davvero una Pubblica Amministrazione più efficiente, trasparente e al servizio dei cittadini.
Ogni punto di questo articolo può essere implementato immediatamente, senza aspettare autorizzazioni complesse o budget straordinari. La chiave è iniziare, dandosi obiettivi sfidanti, misurare i risultati, e migliorare progressivamente a piccoli passi capendo che la tecnologia invade ogni settore della vita privata e professionale ed è importante per ognuno, con le proprie capacità, immergervi per migliorare consapevolezza e comprensione del digitale.
Perché senza fiducia, il digitale resta sulla carta. E il cambiamento vero non parte mai.
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