La gestione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, quando destinati a enti del Terzo Settore per finalità di interesse collettivo, solleva questioni delicate anche sul piano fiscale. Tra queste, l’assoggettabilità alla TARI si rivela spesso terreno di contenzioso.
L’ordinanza n. 13805/2025 della Corte di Cassazione (clicca qui per consultare il testo integrale della decisione) interviene proprio su un caso in cui l’ente assegnatario, pur operando senza fini di lucro, non aveva presentato l’istanza necessaria per accedere alle agevolazioni previste dal regolamento comunale.
La Corte chiarisce i riflessi di tale omissione, ribadendo l’importanza dell’attivazione del contribuente e distinguendo tra difese generiche ed eccezioni in senso proprio. Un arresto che riporta l’attenzione sul peso degli adempimenti formali nel diritto tributario, anche quando in gioco vi siano beni strappati all’illegalità e destinati al bene comune.
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Il fatto
L’origine della controversia
La vicenda nasce da quattro avvisi di accertamento emessi da un Comune nei confronti di una ONLUS, a titolo di omesso versamento della TARI per gli anni 2014-2017. Gli avvisi riguardano un immobile confiscato alla criminalità organizzata, trasferito al patrimonio indisponibile dell’ente e concesso gratuitamente in uso all’associazione. La ONLUS rivendica l’agevolazione dell’85% prevista dall’art. 23, comma 4, punto 4, del regolamento Tares, in considerazione della destinazione del bene.
Il primo grado di giudizio
La Commissione Tributaria Provinciale accoglie il ricorso. Sottolinea la rilevanza del contratto di comodato e la funzione sociale dell’ente assegnatario. Secondo i giudici, l’eccezione del Comune sulla mancata istanza risulta tardiva e comunque irrilevante, trattandosi – a loro avviso – di un mero adempimento procedimentale, non costitutivo del diritto. Il Comune, aggiungono, era a conoscenza della situazione.
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Il giudizio di appello
La Commissione Tributaria Regionale respinge l’appello del Comune. Ritiene che l’eccezione sollevata in secondo grado sia nuova e, dunque, inammissibile ai sensi dell’art. 57 del d.lgs. n. 546/1992. Viene confermata la pronuncia di primo grado.
Il ricorso in Cassazione
Il Comune impugna la decisione della CTR, articolando due motivi di ricorso.
- Primo motivo: lamenta la violazione dell’art. 1, commi 654 e 660, della legge n. 147/2013. Secondo il ricorrente, l’agevolazione TARI in esame – essendo fondata su una scelta discrezionale dell’ente – impone la presentazione di una specifica istanza entro i termini regolamentari. Non si tratterebbe, dunque, di un passaggio meramente procedimentale.
- Secondo motivo: deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 32, 57 e 58 del d.lgs. n. 546/1992. Il Comune sostiene che i documenti prodotti tardivamente in primo grado sarebbero comunque ammissibili in appello, e che la mancata istanza per l’agevolazione rappresenti una difesa, non un’eccezione in senso tecnico, quindi non soggetta a preclusioni.
La decisione
La Corte di Cassazione ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso del Comune. In via preliminare, la Corte ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza, data la natura prevalentemente giuridica delle questioni sollevate.
Il primo motivo è stato invece dichiarato inammissibile perché la commissione tributaria regionale non si era effettivamente pronunciata sulla natura procedimentale o costitutiva dell’istanza, avendo considerato tale questione assorbita dalla ritenuta tardività dell’eccezione comunale.
Riguardo al secondo motivo, la Suprema Corte ha ribadito i principi generali che distinguono le eccezioni in senso stretto – che introducono fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto altrui e sono legate all’esercizio di un diritto potestativo della parte, soggette a limiti preclusivi – dalle mere difese, che consistono nella contestazione del diritto vantato dalla controparte o nella negazione dei fatti costitutivi della domanda e sono sempre coltivabili.
Nel processo tributario, il divieto di nova in appello (art. 57 d.lgs. n. 546/1992) per l’amministrazione finanziaria implica la preclusione a mutare i termini della contestazione rispetto a quanto contenuto nell’atto di accertamento. Per il contribuente, il divieto di nuove eccezioni riguarda quelle in senso tecnico (vizi dell’atto, fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa). Le mere difese, ossia la contestazione dei fatti costitutivi del credito tributario, restano sempre deducibili.
Su queste premesse, la Cassazione ha stabilito che, sollevando la questione della mancata presentazione della richiesta di riduzione, il Comune non aveva ampliato il thema decidendum con una nuova domanda o eccezione in senso tecnico. Si era limitato ad allegare una circostanza – la mancata presentazione dell’istanza – come fatto volto a contrastare la pretesa della contribuente. Poiché oggetto della controversia era il diritto alla riduzione della tassa, il cui fatto costitutivo ricadeva nell’onere probatorio della contribuente, la negazione di tale fatto (o di una sua componente essenziale come la richiesta) si configurava come una mera difesa. Tale difesa, pertanto, non era soggetta ai termini di decadenza previsti per le eccezioni in senso stretto e poteva essere sollevata anche in appello, con facoltà di depositare la relativa documentazione (art. 58, comma 2, d.lgs. n. 546/1992)
Conclusioni
Con il provvedimento di che trattasi la Corte ha delineato la natura della richiesta per ottenere l’agevolazione. Il beneficio in oggetto, previsto dall’art. 1, comma 660, della legge n. 147/2013, è facoltativo, legato alla discrezionale determinazione dell’ente comunale, e riveste carattere premiale.
In tale contesto, secondo la Cassazione, la richiesta di voler godere dell’agevolazione costituisce elemento fondativo del relativo diritto e non un mero dato procedurale. Essa è essenziale anche perché legata a previsioni di spesa che necessitano della verifica delle istanze di riduzione. La richiesta assume quindi la natura di una dichiarazione di volontà, manifestando l’intenzione di avvalersi del beneficio, e non di una mera dichiarazione di scienza.
La Corte ha richiamato il principio secondo cui un termine può considerarsi perentorio anche in assenza di un’espressa indicazione normativa, in ragione dello scopo perseguito e della funzione assolta. Non considerare preclusa la possibilità di conseguire un beneficio non richiesto, o tardivamente rivendicato in sede giudiziale, condurrebbe a una inammissibile disapplicazione della disposizione regolamentare che quel termine aveva stabilito.
Viene inoltre chiarito che i principi sull’emendabilità della dichiarazione dei redditi (richiamati dalle Sezioni Unite con la pronuncia n. 13378/2016) non sono applicabili al caso di specie, poiché essi presuppongono l’esistenza di una dichiarazione resa e non la totale omissione di una richiesta costitutiva di un beneficio.
Sulla base di tali riflessioni, la Corte di Cassazione ha concluso che alla contribuente era precluso il diritto di avvalersi dell’agevolazione TARI non richiesta nei termini stabiliti dal regolamento comunale. Non rilevava il fatto che il Comune fosse a conoscenza della natura confiscata dell’immobile, poiché l’agevolazione non era stata formalmente richiesta dalla ONLUS.
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