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Le due facce della relazione Bankitalia per il 2024


A leggere i giornali, sembra che la relazione di Banca d’Italia sul 2024 e le considerazioni finali del suo governatore, Fabio Panetta, siano state quest’anno in realtà due. Ogni redazione ha scelto di porre in risalto ciò che gli tornava più utile per promuovere la propria opinione intorno all’operato del governo.

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Bisogna effettivamente dire che i dati riportati dall’istituto sono ambivalenti, ma in nessun caso, a dire il vero, presentano un paese pronto ad affrontare le sfide di questa fase storica, e mostrano semmai come il risultato di un trentennio di fallimenti dell’intera classe dirigente, italiana ma anche europea, lo stiano pagando i lavoratori.

Il relativo ‘ottimismo mostrato in alcuni frangenti da Panetta è stato usato per nascondere il quadro reale che emerge anche quest’anno, e qui è bene riportarne alcuni elementi. A partire da quelli sul quadro della guerra commerciale internazionale, mentre Trump ha appena annunciato il rialzo delle tariffe imposte su acciaio e alluminio, fino al 50%.

L’inasprimento delle barriere doganali potrebbe sottrarre quasi un punto percentuale alla crescita mondiale nell’arco di un biennio“, ha detto l’economista italiano. Panetta ha ricordato che il Fondo Monetario Internazionale ha già abbassato le stime di crescita mondiale (dovuta principalmente ai “paesi in via di sviluppo”) a meno del 3%, al di sotto della media dei decenni scorsi.

Ma le conseguenze delle tariffe sono considerate dal governatore di Bankitalia con una portata di gran lunga maggiore rispetto al solo andamento del PIL. “I dazi oggi in vigore – ha aggiunto – potrebbero ridurre il commercio internazionale di circa il 5 per cento, dando avvio a una riconfigurazione delle filiere produttive globali“.

Gli effetti rischiano di travalicare la sfera commerciale, alterando la struttura del sistema monetario internazionale, oggi incentrato sul dollaro, e limitando i movimenti dei capitali“, ha continuato Panetta. A suo avviso, “potrebbero spingersi oltre, frenando la circolazione di persone, idee e conoscenze“, indebolendo la spinta all’innovazione.

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Il vertice di Bankitalia ha riconosciuto la cesura epocale a cui la guerra commerciale rilanciata da Trump ha dato vita. Ma il cambiamento degli equilibri degli ultimi decenni era già in corso, e il modello europeo era già in crisi: “l’economia europea mostra fragilità strutturali evidenti. La stagnazione della produttività e il ritardo nell’innovazione ne limitano il potenziale di crescita“.

La UE è ancora troppo dipendente dall’estero, sia dal punto di vista dell’approvvigionamento di materie prime sia da quello della vendita dei propri prodotti, cosa che ne aumenta la vulnerabilità in uno scenario globale sempre più frammentato. Ma rimane l’orizzonte entro cui l’Italia deve pensarsi per uscire rafforzata da questa fase, crede Panetta.

Allo stesso tempo, la UE “deve avere la capacità di superare i particolarismi nazionali“, perché “una risposta comune europea può consentirci di superare le difficoltà attuali“. È un chiaro riferimento alla necessità di sviluppare almeno strumenti di debito comune, considerati fondamentali per aumentare l’attrattività dell’euro, la tenuta dei conti pubblici e finanziare gli investimenti in difesa e innovazione.

È veroanche che Panetta, riguardo all’economia italiana, ha parlato di “segni di una ritrovata vitalità“. Sul Sole 24 Ore è stata diffusa la notizia che il PIL pro capite del Belpaese avrebbe raggiunto quello francese a parità di potere d’acquisto. Ma ha anche fatto presente che i salari sono aumentati in termini reali molto meno che negli altri paesi europei, e sono ancora sotto i livelli del 2000. Significa che sono quelli francesi ad essere diminuiti parecchio…

Secondo il governatore di Bankitalia, “per garantire un aumento duraturo delle retribuzioni è indispensabile rilanciare la produttività e la crescita attraverso l’innovazione, l’accumulazione di capitale e un’azione pubblica incisiva“. Per quanto Panetta continui col mantra che i livelli bassi dei salari dipendono dalla bassa produttività, è interessante che citi l’importanza dell’intervento pubblico per l’innovazione, visto che dalle imprese non arrriva quasi nulla su questo punto.

Ma c’è anche un problema demografico che minaccia la crescita futura. Secondo l’Istat – dice l’economista – entro il 2040 il numero di persone in età lavorativa si ridurrà di circa 5 milioni. Ne potrebbe conseguire una contrazione del prodotto stimata nell’11 per cento, pari all’8 in termini pro capite“.

Panetta ha affermato che una risoluzione al problema può essere quella di aumentare la partecipazione al mondo del lavoro da parte delle donne, ma che per farlo serve investire nei servizi per l’infanzia, ovvero aumentare la spesa pubblica e i posti negli asili nido: scelta che non sembra nelle corde del governo, così come di quelli precedenti.

Anche “l’immigrazione regolare può fornire un apporto rilevante“, soprattutto nei settori delle costruzioni e del turismo. Si parla insomma di un’immigrazione relegata a coprire le mancanze di manodopera in comparti dove il lavoro è sottopagato e precario, dove il migrante è inquadrato in una condizione di ricattabilità continua. In perfetta continuità con quanto avvenuto finora, ma senza gli strepiti di Salvini e Meloni.

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Per Panetta sarebbe certo utile estendere l’attrazione di stranieri su settori a maggiore valore aggiunto, ma l’Italia è tra le mete meno gettonate tra i principali paesi UE per quanto riguarda gli immigrati laureati. Del resto, la nostra classe dirigente ha deciso di abbandonare da tempo la via dell’innovazione, per trasformare il paese in un parco giochi per turisti, sostenendo solo la rendita immobiliare e finanziaria.

I “segnali positivi” che ha sottolineato Panetta non possono dunque portare a nulla di buono finché rimarranno al governo questi politici – e queste imprese – incapaci di qualsiasi visione strategica.

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