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Tutti gli scontri tra Danimarca, Francia e Germania sulla sostenibilità aziendale


La Danimarca si oppone fermamente alle richieste di Germania e Francia di abrogare la direttiva sulla sostenibilità ambientale. L’analisi di Liturri.

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Come era immaginabile, dopo il rinvio dell’applicazione delle ormai famigerate direttive sul report di sostenibilità (CSRD) e sulla sostenibilità della catena di fornitura (CSDDD), volano stracci in Europa. Le tematiche ESG somigliano sempre più a un fantasma ambulante che qualcuno cerca disperatamente di tenere ancora in vita.

Settimana scorsa, il sito Politico.eu aveva riferito di un accordo tra i leader di Francia e Germania, Emmanuel Macron e Friedrich Merz, per chiedere l’abolizione della Direttiva sulla Due Diligence per la Sostenibilità Aziendale (CSDDD), che obbliga le grandi aziende a monitorare le catene di approvvigionamento globali per violazioni dei diritti umani e danni ambientali. In sedi separate, sia Macron che Merz hanno chiesto praticamente la stessa cosa. Non più proroga dell’applicazione ma completa abrogazione della CSDDD. Macron, in un discorso a Versailles, ha dichiarato che la CSDDD e altre regolamentazioni devono essere “eliminate”, ottenendo il plauso delle imprese, che la considerano troppo onerosa. Merz, già a favore dell’abolizione durante i negoziati di coalizione in Germania, ha ribadito la necessità di una revoca completa.

La mossa riflette una tardiva svolta pro-business e anti-green dell’UE, con il sostegno di Macron e Merz a pacchetti di semplificazione normativa che ridimensionano il Green Deal europeo. Tuttavia, la proposta incontra resistenze: il partner di coalizione di Merz, l’SPD, insiste per mantenere la direttiva con un carico burocratico minimo, mentre nel Parlamento Europeo la coalizione centrista, inclusi Renew Europe di Macron e l’EPP, potrebbe non sostenere un’abolizione totale. La crescente opposizione delle aziende e l’ascesa di forze di destra anti-green alimentano il dibattito, ma Macron e Merz devono ancora convincere altri Stati membri, così concludeva la nota di Politico.eu.

Oggi puntualmente, quei dubbi hanno trovato conferma. Infatti è arrivata dalle colonne del Financial Times la replica della Danimarca che si oppone fermamente alle richieste di Germania e Francia di abrogare la direttiva CSDDD, un pilastro fondamentale dell’agenda climatica e dei diritti umani della UE. Questa normativa obbliga le aziende a monitorare, rendicontare e adottare misure per contrastare il lavoro forzato e mitigare l’impatto ambientale delle loro attività anche al di fuori della UE. In particolare, il ministro dell’Industria danese, Morten Bødskov, ha dichiarato al Financial Times che Copenaghen non condivide la posizione di Berlino e Parigi, le quali sostengono che gli obblighi di rendicontazione imposti dalla legge danneggino la competitività delle industrie europee, già in difficoltà rispetto ai concorrenti cinesi e americani. La Danimarca, nota per il suo impegno nelle politiche verdi, assumerà la presidenza di turno del Consiglio dell’UE a luglio 2025, acquisendo maggiore influenza per promuovere l’agenda climatica della UE, che include l’obiettivo ambizioso di ridurre le emissioni di gas serra del 90% entro il 2040.

Bødskov ha riconosciuto la necessità di semplificare gli obblighi di rendicontazione per le aziende, sottolineando però i numerosi benefici della legge, come il rafforzamento della sostenibilità e la tutela dei diritti umani. Ha insistito sul fatto che la “migliore regolamentazione” non deve tradursi in deregolamentazione, ma in un approccio che faciliti gli investimenti delle imprese verso gli obiettivi climatici senza comprometterli. La legge è al centro di un dibattito tra Stati membri e Parlamento Europeo, che hanno già negoziato un rinvio della sua attuazione. Tuttavia, come detto, Germania e Francia spingono per una cancellazione totale, citando i costi elevati per le imprese: un esempio è un’azienda di costruzioni e logistica che ha speso milioni di euro per tracciare oltre 700 metriche di conformità.

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Le promesse di ridurre la burocrazia della presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha sollevato preoccupazioni tra alcuni Paesi, come la Danimarca stessa, che temono un indebolimento delle ambizioni verdi dell’UE. Bas Eickhout, eurodeputato dei Verdi, ha criticato la legge come già “fortemente ridimensionata” rispetto alla proposta originale, accusando la Commissione di ulteriori semplificazioni senza adeguate valutazioni d’impatto. Un’indagine interna dell’UE ha infatti evidenziato che la Commissione non ha rispettato le proprie regole, omettendo consultazioni pubbliche prima di proporre modifiche.

La posizione di Copenaghen riflette l’ennesima tensione crescente all’interno dell’UE: da un lato, l’urgenza di mantenere gli impegni climatici, dall’altro, le pressioni delle industrie che affrontano costi elevati in un contesto di competizione globale e tensioni commerciali, come quelle innescate dalle minacce di dazi di Donald Trump.

La Danimarca, durante la sua presidenza, intende promuovere una strategia di semplificazione che non sacrifichi gli obiettivi ambientali, mantenendo l’UE sulla strada verso la neutralità climatica entro il 2050.

Se c’era un Paese inadatto per assumere la presidenza di turno della Ue tra poche settimane, questo è proprio la Danimarca. Staremo a vedere se Francia e Germania faranno sentire la (solita) voce del padrone.



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