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Panetta: “Strumenti finanzari comuni per rilanciare l’Europa”


Nella sua ultima relazione annuale del 30 maggio 2025, il Governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta ha evidenziato l’incertezza crescente causata dai rischi geopolitici e dall’inasprimento delle politiche protezionistiche, in particolare da parte degli Stati Uniti, che potrebbero compromettere la crescita globale. Ha denunciato le fragilità strutturali dell’economia europea, come la bassa produttività e il ritardo nell’innovazione, invitando a un ripensamento del modello di sviluppo dell’UE.

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Riguardo all’Italia, ha riconosciuto segnali di vitalità economica, ma ha richiamato l’attenzione su salari reali stagnanti e invecchiamento demografico. Per questo ha sollecitato politiche attive sull’immigrazione. In campo monetario ha suggerito un approccio flessibile da parte della BCE per evitare una stretta eccessiva. Ha poi ribadito l’urgenza di rafforzare gli investimenti in digitale, energia e competitività industriale all’interno di una transizione ecologica sostenibile che non va abbandonata nonostante i segnali contrastanti oltre oceano.

Tanti temi, tutti importanti e fortemente collimanti con la  strategia illustrata nel rapporto di Mario Draghi sul futuro della competitività europea recentemente  redatto su incarico della Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen.

Un punto mi pare di particolare importanza e riguarda il tema dello sviluppo produttivo dell’Europa. E, visto in maniera più ampia, il tema della produttività e del livello salariale che ha visto l’Europa, ed ancora di più l’Italia, cedere il passo rispetto alla dinamica realizzata negli Stati Uniti.

Panetta ha sostenuto con forza la creazione di un mercato dei capitali europeo integrato, considerandolo essenziale per sostenere la crescita economica e l’innovazione. Secondo Panetta, l’attuale frammentazione dei mercati finanziari in Europa limita l’accesso delle imprese, specialmente le piccole e medie, ai finanziamenti necessari per svilupparsi e competere a livello globale. E ha sottolineato che un mercato dei capitali unificato faciliterebbe l’allocazione efficiente del risparmio verso imprenditori capaci e progetti ad alto potenziale, promuovendo così la nascita e la crescita di nuove imprese innovative. Inoltre, Panetta ha evidenziato la necessità di strumenti finanziari comuni, come un titolo pubblico europeo privo di rischio, per migliorare la liquidità e la funzionalità del mercato, rendendolo più attrattivo per investitori e risparmiatori.

Ha quindi lanciato un appello per una strategia europea ambiziosa che metta l’innovazione al centro della crescita e della produttività. Ha evidenziato il crescente divario con gli Stati Uniti in termini di investimenti, ricerca e sviluppo, e tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, sottolineando come l’Europa rischi di restare ai margini del progresso tecnologico. Ha invocato un piano comune europeo, sostenuto da risorse pubbliche e private, per finanziare la transizione digitale, verde e la difesa, stimando un fabbisogno annuo di 800 miliardi fino al 2030. Panetta ha proposto la creazione di una capacità di bilancio comune europea che non implichi una piena unione fiscale, ma permetta investimenti condivisi in beni pubblici strategici.

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Se mettiamo assieme tutti questi suggerimenti rivolti all’intero contesto europeo ma ancora più pressanti per l’Italia cosa possiamo dire? Guardiamo per prima cosa al mondo produttivo. Lì c’è per primo un problema settoriale. Il sistema industria-servizi non è obsoleto. Funziona ed è apprezzato all’estero. Ma non basta. Bisogna entrare con più decisione nel binomio digitale-intelligenza artificiale. In quell’area c’è una dinamica sostenuta. E non si può essere assenti, pena una crescita lenta e con scarsa innovazione. C’è quindi un problema dimensionale.

E’ tanto che viene detto. Ma ora appare in tutta la sua importanza. Le piccole imprese vanno benissimo come fase evolutiva (le start up) e come collante dei sistemi industriali-territoriali del paese. Ma occorre, se vogliamo innovazione tecnologica e organizzativa e quindi salari più elevati, l’emersione di un maggior numero di medie e medio grandi imprese. Finiamola, e questo lo dico io, con leggi, provvedimenti e incentivi, diretti e indiretti, che spingono a restare “nel guscio tranquillo” della piccola dimensione. C’è infine un problema di mercato di sbocco. L’export extraeuropeo è, e rimarrà nonostante i dazi di Trump, centrale nello sviluppo industriale del paese. Ma forse si può cominciare a pensare un po’ di più al mercato interno europeo. Che sia sempre più forte e trasparente, con sempre meno barriere esplicite ed implicite e che faccia valere di più la qualità degli sbocchi che sono tipici del sistema di consumo e di investimenti dell’Europa. Come sempre la qualità della domanda fa crescere la qualità dell’offerta. Sfruttiamo di più questo legame.

Quindi guardiamo al sistema che sta intorno alla produzione. E in testa a tutto c’è lo strumento finanziario di supporto alle imprese. A quelle che ci sono, a quelle in fase di start up e a quelle che ancora non ci sono. Ci sono due elementi da rafforzare. Il primo, come ha detto con precisione Panetta, è l’integrazione del mercato dei capitali. Famiglie, imprese e istituzioni che investono o prendono fondi devono poterlo fare senza alcuna barriera, neppure quella culturale. Olanda, Francia o Italia devono essere la stessa cosa. Aumentando così il parco di possibilità attivabile. Il secondo è relativo al livello e allo sbocco del risparmio. Se l’economia cresce di più anche il risparmio aumenta ma non basta. Bilance commerciali strutturalmente attive denotano una propensione ad investire fuori del paese o dell’Europa. Bisogna saper intercettare questo risparmio e indirizzarlo verso imprese, progetti e investimenti interni. Aumentando così il potenziale economico del paese.

Ed infine c’è lo Stato che deve produrre beni pubblici per il sistema delle famiglie e delle imprese. Deve crescere il livello degli investimenti e deve crescere la capacità di spesa e la qualità di spesa dei fondi programmati. L’esperienza del PNRR per l’Italia non sembra aver raggiunto il livello sperato sia nella capacità che nella qualità della spesa. Troppa lentezza, troppi blocchi e troppe spese indirizzate a investimenti tradizionali, poco innovativi e certamente non prioritari per il rilancio del paese. Una cosa è oramai acclarata. Se vogliamo crescere di tempestività e di qualità smettiamo di fare Piani di breve termine con scadenze ravvicinate. Facciamo piani di medio lungo periodo, con tempi adeguati di selezione delle priorità e di realizzazione progettuale, e con procedure ordinate e calibrate sulle capacità, che ci sono, e su quelle che possono crescere e qualificarsi nel corso della realizzazione del Piano. E parlo di capacità istituzionali e produttive che non devono essere date per scontate all’avvio del Piano. E non è buttando soldi in massa verso un obiettivo di breve periodo che cresce la capacità del sistema.

Insomma, Panetta ora e Draghi prima hanno toccato più o meno gli stessi tasti, pur da ruoli istituzionali diversi. Speriamo che nella prossima fase politica si parli molto di più di questi temi, cercando di delineare qualche soluzione alle criticità del paese, e si lascino da parte tutte quelle ragioni di scontro politico di scarso respiro, destinate a svanire con la velocità dei “click ricevuti”.

In foto Fabio Panetta





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