Tempo scaduto. Da oggi, secondo quanto comunicato ai 406 lavoratori lo scorso 24 aprile dalla multinazionale americana, il sito Jabil di Marcianise, comprese le maestranze che non hanno effettuato la scelta delle dimissioni incentivate, dovrebbero passare alla nuova proprietà: la newco Tma costituita per il 55% dalla Tme di Portico di Caserta dell’imprenditore Aniello Stellato e per il 45% da Invitalia, braccio operativo del Ministero dell’Economia.
Fino allo scorso venerdì, l’ultimo giorno di lavoro della settimana, nello stabilimento della SS87 che conduce a Casapuzzano, i lavoratori non hanno ricevuto alcuna comunicazione dalla società ed hanno continuato le loro normali attività. Né ci sono stati eventi che hanno fatto pensare ad un imminente passaggio di proprietà. Eppure, i vertici della Jabil, come avevano anche illustrato nel corso della riunione al Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), alla presenza del ministro Adolfo Urso, avevano predisposto «un percorso volontario alternativo alla cessione del rapporto di lavoro all’acquirente». L’alternativa consisteva in tre opzioni che avevano come scadenza del rapporto di lavoro il 31 maggio. La prima riguardava la risoluzione consensuale del rapporto, senza accesso alla Naspi, con riconoscimento di un importo a titolo di esodo incentivato pari a 30mila euro lordi; la seconda, risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro (licenziamento collettivo), con accesso alla Naspi, con riconoscimento di un importo a titolo di esodo incentivato pari a 10mila euro lordi; la terza, le dimissioni volontarie.
Jabil a Marcianise, i sindacati a Governo e Regione: «Asset strategico, non deve andare via»
L’opzione da parte dei lavoratori doveva essere perentoriamente sottoscritta dal 24 aprile al 6 maggio e la mancata scelta sarebbe stata considerata come «preferenza per il trasferimento alla nuova impresa acquirente». Nessuno dei 406 dipendenti della multinazionale ha, però, effettuato l’opzione, non perché tutti desiderosi di passare al nuovo soggetto industriale ma perché, come più volte ribadito nei vari tavoli ministeriali e regionali, hanno sempre bocciato il piano di reindustrializzazione proposto da Jabil. Un netto rifiuto che trova la giustificazione in quello accaduto agli oltre 250 dipendenti Jabil che gli anni scorsi sono fuoriusciti dagli organici della multinazionale per passare in altre società, come Softlab e Orefice, che però non hanno garantito alcuna continuità produttiva e che oggi si trovano alcuni licenziati ed altri in cassa integrazione senza percepire lo stipendio.
Perciò, sia i lavoratori che i sindacati hanno sempre e solo chiesto alle istituzioni e alla politica di indurre la Jabil a restare a Marcianise. Intanto, a nulla sono valsi gli appelli lanciati dai sindacati di categoria qualche settimana fa al Governo e alla Regione Campania per garantire un futuro certo ai lavoratori Jabil. «Lasciare che una multinazionale di rilevanza mondiale nel settore tecnologico abbandoni il territorio – avevano scritto i sindacati – significa impoverire il tessuto economico locale, ma anche rinunciare a un asset strategico per il rilancio dell’intera area». Ma anche l’ultima sollecitazione fatta dai rappresentanti sindacali interni al ministro Urso, pochi giorni fa, di una convocazione del tavolo al Mimit, che da una parte avrebbe dovuto sospendere la procedura avviata dalla Jabil e dall’altra ricercare altri investitori attraverso un percorso pubblico di scouting, coinvolgendo lavoratori e sindacati, sembra sia stata ignorata.
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