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Federcostruzioni, le previsioni per il 2025: «In calo i livelli della produzione e carenza di figure professionali»


Quali sono le previsioni di Federcostruzioni per il 2025? Risponde la presidente Paola Marone, ingegnere.

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«Prevediamo un ulteriore ridimensionamento dei livelli produttivi, già manifestatosi nel 2024 (-4,4% al netto inflazione), che nel 2023 hanno raggiunto il valore di 624 miliardi di euro e 3,1 milioni occupati. Anche i dati del Centro Studi dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili diffusi a marzo, per edilizia e infrastrutture, parlano di una tendenza dei livelli produttivi in diminuzione del 7% rispetto alla riduzione totale stimata per il 2024 (-5,3% sul 2023). Un risultato fortemente influenzato dall’ulteriore ridimensionamento della manutenzione straordinaria abitativa (-30,0%), legata alla rimodulazione al ribasso delle aliquote di incentivazione fiscale. Di contro, si rilevano aumenti nei nuovi investimenti non residenziali privati (+3,2% su base annua) e per le opere pubbliche dove si registra un ulteriore e significativo incremento (+16% su base annua), trainato dai progetti Pnrr».

E sul fronte occupazione?

«I dati (fonte Unioncamere), riferiti all’industria nel suo complesso, dicono che i profili di più difficile reperimento nei prossimi mesi sono: ingegneri (manca il 62,8% della richiesta), specialisti in scienze gestionali (-45,3%), profili tecnico-ingegneristici, per esempio tecnici di cantiere (-69,9%), tecnici di gestione produttiva, per esempio controller di processo (-66,6%), operai specializzati, meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori (-72,6%), operai addetti alle rifiniture delle costruzioni (-72,4%), fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (-70,8%). La quota di assunzioni che le imprese prevedono di coprire con manodopera immigrata nel settore delle costruzioni è il 20,4%».

Che fase attraversa il rapporto tra la filiera che rappresentate e il mondo del credito?

«Il rapporto tra imprese del settore delle costruzioni e mondo bancario segue un’evoluzione iniziata molti anni fa. La grande crisi finanziaria del 2008 rappresenta uno spartiacque tra il prima e il dopo, perché da quel momento sono state introdotte regole molto stringenti sull’operatività delle banche, che hanno reso difficoltoso finanziare settori considerati a rischio elevato. Questi vincoli di allocazione del credito particolarmente stringenti hanno prodotto restrizioni significative verso tali settori. Quello delle costruzioni, nonostante i grandi miglioramenti messi in atto dalle imprese dal punto di vista economico-finanziario, continua ad essere valutato negativamente, scontando accantonamenti patrimoniali nei bilanci delle banche al massimo livello. I dati congiunturali più recenti, relativi ai primi 9 mesi del 2024, indicano una nuova flessione delle risorse bancarie verso investimenti di carattere immobiliare rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, -16,3% nel totale, con un -10% per gli investimenti in edilizia residenziale e -24,1% per investimenti in edilizia non residenziale. Una restrizione che passa anche attraverso la richiesta di maggiori garanzie e l’aumento del rating minimo per l’accesso al credito, a fronte di una riduzione degli spread medi sui prestiti. La domanda di prestiti da parte delle imprese continua ad essere in calo ormai dall’inizio del 2023».

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In quale misura eventuali dazi possono impattare sulla filiera delle costruzioni?

«Anche se temporaneamente sospesi, i dazi americani hanno un forte impatto sull’export italiano, che rappresenta circa il 7% della produzione manifatturiera. I settori della Federazione più colpiti sono acciaio, alluminio, ceramica, macchinari, legno, vetro, chimica e marmo. C’è il rischio di delocalizzazione e di distorsioni nei flussi commerciali, con possibili effetti negativi anche in Europa. Il Centro Studi Confindustria ha quantificato la delocalizzazione in un migliaio di medie-grandi imprese potenzialmente coinvolte. Bisogna dunque proporre un piano di investimenti di medio-lungo periodo e un rafforzamento del mercato italiano ed europeo. La preoccupazione è per gli effetti indiretti di distorsione dei flussi commerciali, immaginando che i prodotti siderurgici che da altri Paesi arrivavano negli Usa ora saranno destinati verso altri mercati, principalmente quello europeo. Federacciai con l’associazione europea ha avanzato una richiesta alla Commissione Europea su questo fenomeno, che va monitorato. La guerra commerciale tra Usa e Cina e le tensioni internazionali complicano ulteriormente la situazione, con ripercussioni su investimenti, occupazione e debito».

In che modo la sostenibilità può diventare leva di sviluppo?

«La sostenibilità rappresenta ormai una necessità per il settore produttivo, in particolare per il mondo delle costruzioni. L’Unione Europea è leader nelle politiche per la sostenibilità del sistema produttivo, pensiamo al Green Deal, politiche che certo vanno riviste e adattate al nuovo contesto geopolitico mondiale (è positivo il recente “pacchetto Omnibus” sulle semplificazioni degli adempimenti ambientali), ma che appaiono ineludibili perché, oltre a perseguire obiettivi fondamentali come la resilienza al cambiamento climatico, valorizzano comunque l’efficienza energetica e produttiva e quindi la competitività delle imprese. Quelli che oggi appaiono come indirizzi devono trasformarsi in disposizioni efficaci e giustamente remunerate per la promozione di forniture che rispettano il regolamento Ets sulle emissioni. Per esempio, l’entrata in vigore del nuovo Codice degli appalti, per quanto finora verificabile, contiene disposizioni in merito, ma nessuna stazione appaltante parrebbe aver considerato ad oggi l’inserimento di una specifica premialità o di criteri di preferenza per i materiali che rispettano gli elevati standard di sostenibilità europei e che sono in grado di contribuire efficacemente al rispetto degli obiettivi ambientali previsti dal medesimo Codice».

Come giudica le misure contro il caro energia?

«Il tema dell’energia è tra i più critici. Confindustria stima una necessità di disponibilità di energia al 2050 almeno doppia di quella attuale. I costi dell’energia in Italia sono più alti del 40% rispetto a quelli dei competitor europei. L’aumento dei costi energetici ha colpito tutte le imprese, sia quelle ad alta intensità energetica sia quelle la cui componente energetica è parte consistente della struttura dei costi. Il decreto legge Energia n. 19/2025 si presenta senza nessuna misura efficace per le imprese. Confindustria evidenzia la gravità di questa situazione che non tutela il tessuto produttivo.

Che fine hanno fatto le vostre proposte?

«Non è stata approvata nessuna delle misure a costo zero proposte da Confindustria, come quella che consentirebbe nelle aree produttive di ottenere l’autorizzazione alla produzione di energia rinnovabile per auto-consumo. L’Energy Release è una misura che funziona bene perché darà a 4.500 aziende per tre anni energia a costi calmierati. Il costo si attesta su 65 euro/Mwh per tre anni a fronte della restituzione in 20 anni. Vale per le imprese iscritte alle Casse per il settore elettrico coprendo circa un quarto dei loro consumi. Nemmeno il Parlamento ha apportato i necessari correttivi. Disaccoppiare quindi il prezzo del gas da quello dell’energia prodotta con altre fonti è fondamentale. Soprattutto si tratta di mettere in campo una visione di lungo periodo: la continua ricerca dell’efficienza energetica, la progressiva sostituzione dei combustibili fossili con energia rinnovabile (H2 ed energia elettrica rinnovabile), con la possibilità di esplorare lo sviluppo dell’energia nucleare di ultima generazione e le attività di cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2».

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