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Improvvisamente le aziende non parlano più di sostenibilità. Perché?


Le imprese adattano la loro comunicazione ambientale alle circostanze contingenti.

Keystone

Le aziende sono diventate più caute quando si tratta di parlare di clima, biodiversità o uguaglianza: ciò è dovuto in parte al cambiamento politico negli Stati Uniti, ma non solo. E dopo il greenwashing scatta l’ora del nuovo fenomeno del greenhushing.

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Ancora qualche anno fa le aziende pubblicizzavano anche il più piccolo impegno per la sostenibilità: gli obiettivi di emissione di CO2 venivano stampati sui manifesti pubblicitari, i successi dei programmi di diversità venivano diffusi sui social media. Ora però questi temi sono diventati sempre più una questione delicata.

I politici conservatori, soprattutto negli Stati Uniti, agiscono attivamente contro le aziende che si impegnano per la protezione del clima e l’uguaglianza. All’altro capo dello spettro politico vi sono la sinistra e le organizzazioni non governative, per le quali l’impegno delle aziende non è sufficiente. Entrambe le parti minacciano spesso azioni legali.

Molte multinazionali hanno ridotto la loro comunicazione sui temi della sostenibilità per ridurre al minimo la loro vulnerabilità. Il gestore patrimoniale statunitense Blackrock, ad esempio, si è posizionato per anni come pioniere della sostenibilità nel mondo finanziario: ma a seguito di forti venti contrari politici ora ha chiaramente ridotto la sua comunicazione e il suo impegno.

Anche H&M è diventata più cauta. In seguito a pressioni normative il gruppo svedese di abbigliamento ha cancellato il suo marchio di sostenibilità «Conscious Choice». Molte aziende hanno anche smesso di etichettare prodotti o servizi come «neutrali dal punto di vista climatico» se ciò è stato ottenuto solo acquistando certificati di CO2. Tra gli esempi più significativi vi sono la multinazionale alimentare Nestlé e la compagnia aerea britannica low-cost Easyjet.

Un sondaggio condotto dalla società di protezione del clima South Pole, con sede a Zurigo, conferma questa tendenza: il 58% delle aziende intervistate ha dichiarato di voler ridurre la comunicazione esterna sugli obiettivi climatici. «Questo è legato alla preoccupazione di esporsi troppo facendo promesse troppo specifiche», spiega all’agenzia Awp Sabine Döbeli, Ceo di Swiss Sustainable Finance (SSF), associazione del settore finanziario che opera per una maggiore sostenibilità. Pure i rischi normativi possono giocare un ruolo importante, soprattutto per le ditte che operano anche negli Stati Uniti.

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Alla tendenza contribuisce peraltro anche l’Europa, con la crescente incertezza dovuta alla rapida evoluzione dei requisiti legislativi. «Se non è chiaro quali informazioni dovranno essere fornite in futuro, in caso di dubbio è meglio pubblicare meno dati oggi», osserva l’esperta. Döbeli osserva che, sebbene molti membri di SSF mantengano le loro attività di sostenibilità si sono nel frattempo fatti meno attivi nel comunicarle. «Questo si nota anche nei rapporti di sostenibilità, dove le aziende prestano maggiore attenzione a quali affermazioni possono sostenere con cifre chiave concrete».

Gli specialisti hanno un termine per definire la nuova tendenza: greenhushing (dal verbo to hush, tacere), cioè la minimizzazione delle iniziative ambientali per evitare indagini o critiche. Il fenomeno si contrappone all’ormai noto greenwashing, l’ecologismo di facciata che permette alle imprese di vendersi come più verdi di quanto siano in realtà.

Nadine Strauss, professoressa assistente di comunicazione strategica all’Università di Zurigo, distingue due forme di greenhushing: da un lato ci sono aziende che nascondono informazioni, anche se con gli odierni obblighi di rendicontazione questo è difficilmente possibile, dall’altro le società sono diventate più caute nella comunicazione. «Le imprese aspettano a rendere pubbliche le novità finché non hanno controllato tutti i dati necessari: vedo questa cautela come piuttosto positiva», commenta la ricercatrice.

I rapporti di sostenibilità pubblicati di recente mostrano comunque che il tema continua ad avere un’alta priorità, almeno tra i gruppi elvetici: praticamente tutte le società comprese nell’indice principale della borsa svizzera SMI hanno ridotto le proprie emissioni di CO2 lo scorso anno. Ma difficilmente ne parlano in pubblico.





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