“Fare impresa e televisione oggi: tra sfide e opportunità”
A cura di Ilaria Solazzo
Gianfranco Sciscione è un imprenditore italiano, nato a Terracina nel 1950, noto per essere il fondatore e presidente del Gruppo Sciscione, uno dei principali gruppi di emittenti televisive private in Italia.
Nel 1978, insieme ad altri soci, Sciscione avvia l’emittente locale Telemontegiove (oggi Lazio TV), segnando l’inizio della sua carriera nell’emittenza privata. Nel 1988, lancia Gold TV, una rete televisiva che si espande rapidamente, coprendo Roma e il Lazio. Negli anni ’90, le sue emittenti diventano affiliate al circuito Italia 9 Network, di cui Sciscione diventa presidente nel 2009.
Con l’avvento del digitale terrestre, il Gruppo Sciscione amplia la sua presenza a livello nazionale, lanciando canali tematici come Alma TV e Donna TV, e acquisendo emittenti storiche come Odeon, T9 e Italia7 Toscana . Il gruppo dispone di sedi di produzione a Roma, Fiumicino, Firenze, Latina e Terracina.
Nel 2025, Sciscione pubblica il libro autobiografico Il Grande Sogno – Il ragazzo che sognava la televisione, scritto in collaborazione con Piermaria Cecchini. Il libro racconta la sua storia di determinazione e passione, sottolineando l’importanza della perseveranza nel realizzare i propri sogni.
Oltre alla sua attività imprenditoriale, Sciscione è noto per il suo impegno nel rilancio di Terracina, sua città natale. Ha proposto la riqualificazione del mercato della Marina e il trasferimento dell’Istituto Filosi al mercato Arene, creando così un polo dell’istruzione e della cultura. Ha anche sostenuto la realizzazione della cittadella dello sport in località San Martino, un progetto rimasto incompleto per anni.
I figli di Gianfranco, Marco e Giovanni, sono attivamente coinvolti nel Gruppo Sciscione. Nel 2022, hanno fuso la società con GM24 S.r.l. e Media Group S.r.l., quotandola al mercato MTA, consolidando ulteriormente la presenza del gruppo nel panorama mediatico italiano.
Gianfranco Sciscione rappresenta un esempio di imprenditore visionario che ha saputo trasformare un sogno in un’impresa di successo, mantenendo un forte legame con le sue radici e un impegno costante nel miglioramento della sua comunità.
Signor Sciscione, grazie per aver accolto il nostro invito. Lei ha iniziato la sua attività imprenditoriale alla fine degli anni ’70. Che differenze vede oggi nel modo di fare impresa rispetto ad allora?
C’è stato un cambiamento radicale. Quando iniziai, si faceva impresa con pochi strumenti, molta intuizione e tantissimo coraggio. Oggi servono ancora determinazione e visione, ma il contesto è più complesso: c’è una burocrazia più pesante, una concorrenza globale e una tecnologia che corre veloce. Una volta bastava un’idea forte e la capacità di metterla in pratica. Ora bisogna anche sapersi orientare in un mondo digitale, dove tutto è misurabile, tracciabile, e spesso effimero.
E nel mondo della televisione, quanto è cambiato?
La TV è cambiata tanto quanto il modo di fare impresa. Negli anni ’80 e ’90, la televisione era un contenitore popolare e formativo allo stesso tempo. C’era un’offerta limitata, sì, ma di qualità: si faceva intrattenimento, ma anche cultura. Penso a certe rubriche, ai programmi di approfondimento, all’importanza della parola e dell’autorevolezza del conduttore. Oggi il pubblico ha una scelta vastissima, quasi infinita. Questo è un bene, ma comporta anche una maggiore frammentazione e una difficoltà crescente a fidelizzare lo spettatore.
Con questa “scelta a ventaglio” di canali e contenuti, come si riesce a mantenere un’identità di rete?
È una grande sfida. L’identità oggi non si costruisce solo sul palinsesto, ma su una filosofia editoriale chiara, riconoscibile anche online, sui social e attraverso i nuovi linguaggi visivi. Bisogna essere coerenti ma anche flessibili. Per esempio, Alma TV è un canale tematico, e punta su contenuti che non si trovano facilmente altrove. Ma anche lì, bisogna aggiornarsi continuamente, intercettare tendenze, parlare la lingua dei nuovi pubblici.
Come vede il futuro dell’emittenza televisiva in Italia?
Lo vedo in evoluzione continua. La TV generalista non morirà, ma sarà sempre più integrata con il digitale. Le emittenti locali e tematiche, se sapranno innovarsi, avranno ancora molto da dire. E poi credo che torneremo anche a desiderare contenuti più “lenti”, più pensati. La sovrabbondanza di stimoli porta alla riscoperta del valore. Chi saprà offrire contenuti di valore, indipendentemente dalla piattaforma, vincerà.
Un suo piccolo ma prezioso consiglio rivolto ai giovani che vogliono fare impresa oggi?
Sognare in grande, come sempre. Ma con i piedi ben piantati a terra. La passione deve andare di pari passo con la preparazione, con la conoscenza dei meccanismi, con la capacità di affrontare i fallimenti. E non bisogna mai dimenticare il territorio: partire dalle proprie radici è spesso il modo più autentico per costruire qualcosa di solido.
Com’è cambiato il modo di comunicare negli ultimi decenni secondo lei?
È cambiato in maniera drastica. Un tempo la comunicazione era più verticale, dal mezzo al pubblico. Oggi è orizzontale: il pubblico interagisce, commenta, crea. Questo ha reso tutto più dinamico, ma anche più rischioso: ogni errore viene amplificato. Le emittenti devono saper ascoltare e reagire in tempo reale, essere credibili ma anche umane.
Ci racconta qualcosa sui nuovi programmi e trasmissioni che ha introdotto recentemente?
Negli ultimi anni abbiamo puntato molto sull’informazione territoriale e sui format originali. “L’Italia che produce” ad esempio è un format che racconta le eccellenze del nostro Paese. Abbiamo anche rafforzato i contenuti legati al benessere, alla cucina e alla cultura popolare. Ci interessa creare programmi che siano utili, coinvolgenti e identitari.
Lei è noto anche per aver dato spazio a moltissimi giovani. Quanto conta per lei questo aspetto?
È fondamentale. Tanti professionisti del settore sono passati da noi all’inizio della loro carriera. Credo molto nel valore della prima opportunità. Offrire un microfono, una telecamera o anche solo una scrivania a un ragazzo con passione può fare la differenza. Non si tratta solo di lavoro, ma di responsabilità sociale.
Come definirebbe il suo rapporto con il pubblico?
Autentico. Il pubblico ci conosce, ci segue da anni e anni con infinito affetto. Abbiamo sempre avuto un approccio diretto, senza costruzioni artificiali. Quando ci fermano per strada o ci scrivono, lo fanno con stima. Cerchiamo di essere una presenza familiare, ma anche autorevole, specialmente nelle emittenti locali dove la vicinanza è tutto.
E con i competitor? Qual è la sua filosofia?
Il rispetto. La concorrenza è uno stimolo, non una guerra. Se lavori bene, se innovi, se mantieni i tuoi valori, il pubblico te lo riconosce. Noi abbiamo sempre cercato la nostra strada, senza copiare. E dove possibile, abbiamo anche collaborato: in certi territori, fare sistema può essere più utile che farsi la guerra.
C’è un momento in particolare della sua carriera che ricorda con più emozione?
Ce ne sono tanti, ma forse la prima volta che ho visto una nostra trasmissione andare in onda in tutto il Lazio fu indimenticabile. Era la prova concreta che il nostro sogno aveva preso forma. E ogni volta che vedo un giovane crescere dentro la mia, nostra realtà, provo una soddisfazione profonda. È lì che capisci che l’impresa è anche vita.
In un Paese dove troppo spesso si dimenticano le storie di chi costruisce con pazienza, passione e visione, la figura di Gianfranco Sciscione merita rispetto e riconoscimento. Non solo per ciò che ha realizzato — una rete di emittenti televisive radicate sul territorio ma capaci di parlare a tutto il Paese — ma per come lo ha fatto: dando voce alle comunità locali, offrendo opportunità concrete a intere generazioni di giovani, credendo nella forza del lavoro e nella dignità del sogno.
In un’epoca in cui l’imprenditore viene spesso associato al profitto fine a sé stesso, Sciscione rappresenta un modello diverso: quello di chi non dimentica le proprie origini, di chi investe nei territori in cui è cresciuto, di chi costruisce valore senza inseguire le mode ma rimanendo fedele a una visione.
Rispetto, dunque, a un uomo che ha saputo fare impresa senza perdere l’anima. Un imprenditore, certo, ma anche un testimone del tempo, un costruttore di possibilità. E oggi più che mai, figure come la sua andrebbero raccontate, ascoltate, custodite.
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