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PMI e trasformazione digitale: partire dalle debolezze per il rilancio


PMI italiane alla sfida della digitalizzazione: nel 2025 il 54% investe con decisione, ma solo il 19% adotta tecnologie avanzate in modo strutturato. Connettività, competenze e cultura digitale ancora insufficienti per sostenere la trasformazione

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Grazie al contributo di una ricerca dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “La trasformazione digitale nelle PMI: sfide di oggi, opportunità per domani.”, facciamo il punto sulla trasformazione digitale delle PMI italiane. A che punto sono?

Più di una PMI italiana su due (54%) dichiara di investire con intensità nelle tecnologie digitali, sia in modo mirato su singole aree sia in modo trasversale su tutta l’organizzazione. Eppure, la piena maturità digitale è ancora lontana. Se da un lato si registra una crescente presenza di figure interne a presidio della trasformazione digitale e primi segnali di revisione dei processi in funzione delle nuove soluzioni, dall’altro persistono alcune fragilità strutturali. Un’impresa su tre, ad esempio, non dispone ancora di un responsabile IT – interno o esterno – e l’adozione tecnologica si concentra spesso su strumenti di base, non integrati tra loro e utilizzati prevalentemente in ambito amministrativo. Le tecnologie sono presenti, ma faticano a diventare leve di cambiamento trasversale: l’integrazione delle informazioni e la diffusione di competenze digitali nei processi core restano ancora limitate. Connettività inadeguata, scarsa disponibilità di competenze e una cultura aziendale non sempre pronta all’innovazione restano le principali barriere.

 

Uno degli oltre 50 differenti filoni di ricerca degli Osservatori Digital Innovation della POLIMI School of Management che affrontano tutti i temi chiave dell’Innovazione Digitale nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione.

La digitalizzazione delle PMI italiane procede, ma troppo lentamente rispetto alla velocità con cui evolve il contesto tecnologico ed economico. Oggi, più che la carenza di risorse finanziarie, è la difficoltà nel leggere il cambiamento e nel trasformarlo in scelte strategiche a rappresentare il vero ostacolo. Serve un cambio di passo culturale, che coinvolga tutta l’impresa, dal management agli operatori, e una nuova capacità di visione di lungo periodo”, afferma Claudio Rorato, Direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI. “È fondamentale che l’ecosistema supporti le PMI per creare nuova cultura gestionale e che le politiche pubbliche siano progettate in modo verticale, partendo dalle specificità dei territori e dei settori, così da essere realmente efficaci e riconoscibili dalle imprese. Solo con questo approccio sarà possibile rafforzare la consapevolezza, facilitare l’adozione delle tecnologie e accompagnare le PMI verso una vera maturità digitale.”

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Le barriere alla trasformazione digitale: competenze, reti, risorse

Se da un lato il 54% delle PMI italiane dichiara un elevato livello di investimento in tecnologie digitali, il restante 46% adotta invece un approccio più cauto, perché il ruolo del digitale viene considerato marginale nel proprio settore (20%), per una scarsa comprensione dei benefici (10%), per i costi percepiti come elevati (9%) o per totale disinteresse (7%).

Le piccole e medie imprese si trovano infatti ad affrontare numerosi ostacoli. L’83% dichiara difficoltà nell’adozione e nell’utilizzo di strumenti digitali, principalmente per carenze di tipo culturale (44%), per la scarsità di competenze specialistiche (59%) e per i costi legati all’adozione e alla manutenzione di hardware e software (40%). Inoltre, il 47% delle imprese evidenzia criticità nell’accesso alla connettività digitale. Elaborazioni su dati AGCOM mostrano che il 41% delle PMI non è servito da una connessione FTTH, e nelle province meno coperte la percentuale di PMI con accesso alla fibra ottica scende sotto il 30%. Il tema della connettività resta una sfida aperta, in particolare nelle aree a minore densità imprenditoriale, dove l’estensione delle infrastrutture procede con maggiore gradualità. In questi contesti, l’accesso limitato a connessioni ad alte prestazioni può rallentare l’adozione di soluzioni digitali più avanzate, contribuendo a differenze di velocità nei percorsi di trasformazione e incidendo sul pieno potenziale competitivo delle imprese locali.

Anche sotto il profilo finanziario, la trasformazione digitale resta sbilanciata: quasi la metà delle PMI (47%) ha sostenuto le spese esclusivamente con risorse proprie. Nell’ultimo anno, meno di un terzo ha attinto a fondi pubblici per la digitalizzazione. A limitarne il ricorso sono soprattutto la complessità burocratica e la difficoltà nel reperire informazioni, nonché la scarsa propensione a utilizzare strumenti innovativi (equity, crowdfunding, minibond).

 

La formazione è un investimento, non un costo

Le attività formative faticano a decollare: il 38% delle PMI non ritiene prioritario elevare le competenze digitali interne. Inoltre, la formazione resta concentrata soprattutto sui livelli operativi, mentre è spesso assente il coinvolgimento attivo di imprenditori e management, che dovrebbero invece essere i primi promotori del cambiamento. “Questa mancanza di ingaggio ai vertici indebolisce la capacità delle PMI di adottare una visione strategica dell’innovazione digitale e di guidarne l’implementazione in modo efficace. Troppo spesso – afferma Rorato – imprenditori e manager non partecipano direttamente ai percorsi di aggiornamento, rendendo difficile l’adozione diffusa di nuove tecnologie. Inoltre, la formazione, soprattutto quella finanziata, deve agevolare le realtà più piccole individuando nuove modalità di fruizione, che remunerino il costo del lavoro e consentano l’impiego di piattaforme con programmi fruibili al di fuori dell’orario di lavoro.

 

Tecnologie avanzate: il potenziale ancora inespresso

L’adozione tecnologica nelle PMI italiane si concentra ancora su strumenti semplici, spesso isolati tra loro e con funzionalità di base. I software gestionali – in particolare per amministrazione e contabilità – restano i più diffusi, seguiti da soluzioni di base per la protezione delle reti. Si registra una crescente diffusione – specialmente tra le medie imprese – di servizi in Cloud e di piattaforme di eCommerce B2b, mentre l’uso dei dati a supporto delle decisioni aziendali, pur presente, è ancora marginale e scarsamente strutturato.

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I benefici percepiti si concentrano prevalentemente nelle funzioni amministrative, finanziarie e di controllo di gestione. Tuttavia, solo una minoranza di imprese attribuisce al digitale un valore strategico, continuando a considerarlo un supporto operativo e non uno strumento capace di orientare le decisioni di business.

Soluzioni come Data Analytics, Intelligenza Artificiale, Blockchain e Metaverso offrono nuove opportunità per migliorare prodotti, processi e relazioni, ma restano ancora poco adottate. Le imprese temono la difficoltà di integrazione nei processi esistenti e la mancanza di competenze interne più che i rischi tecnologici in sé. Serve un’azione corale per colmare il gap: il 61% delle PMI ha avviato progettualità di digitalizzazione con supporto esterno, ma soprattutto con soggetti con cui tradizionalmente hanno più familiarità (come fornitori tecnologici, professionisti e associazioni di categoria), meno con enti ad alto contenuto tecnologico (come startup, università e centri di ricerca).

 

Il ruolo dell’ecosistema pubblico-privato

Per affrontare le sfide del futuro, le PMI devono rafforzare le sinergie con startup, università, poli tecnologici e attori della stessa filiera. Le collaborazioni pubblico-privato devono diventare leva fondamentale per attivare percorsi collettivi di innovazione. Le politiche pubbliche, dal PNRR ai bandi regionali, devono essere pensate, ma come strumenti di trasformazione culturale, capaci di attivare processi di collaborazione stabili.

Affinché le PMI possano affrontare con successo la transizione digitale, è fondamentale attivare un ecosistema di collaborazione stabile e continuativo. Le sinergie spontanee sono importanti, ma non bastano: il ruolo dei policy maker è decisivo nel favorire partenariati pubblico-privati capaci di valorizzare anche le imprese meno strutturate, quelle che più faticano a dotarsi di visione e risorse,” conclude Claudio Rorato.

 

 

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