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«Il Paese invecchia, a rischio l’11% del Pil in 15 anni»


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Fabio Panetta – Ansa

Uno scenario di ripresa «fragile», che rischia di essere compromesso da un’incertezza crescente nel mondo, il cui prezzo si ripercuote anche da noi. Dove ad aggravare le prospettive è la “bomba” demografica incombente: con una popolazione italiana sempre più vecchia e ridotta numericamente (meno 5 milioni circa di persone in età lavorativa entro il 2040) è difficile garantire benessere, infatti – senza interventi strutturali- il rischio potenziale è di «una contrazione del prodotto lordo pari all’11%», ovvero l’8% pro capite in 15 anni.

È un quadro fosco, ma che si sforza di aprire prospettive quello delineato da Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia, nelle sue seconde “Considerazioni finali”, che a causa di questa complessità sono state ampliate a 29 cartelle (con tanto di grafici interni). Gli scenari condizionano la situazione: l’offensiva di Trump, coi dazi minacciati anche sull’export europeo (che rischiano di pesare per un punto percentuale sulla crescita globale), e le tensioni geopolitiche alle stelle creano rischi a iosa. E, soprattutto, «un senso diffuso di incertezza».

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Anche sulla scena del progetto europeo che, come troppe volte detto nel passato, ha bisogno di un rilancio basato sul «ripensare il modello di sviluppo». Le imprese europee hanno il limite d’investire troppo poco in ricerca e sviluppo («La metà di quelle statunitensi in rapporto al Pil», annota il governatore) e questo frena la loro capacità d’innovare e, quindi, di creare ricchezza. Dal 2019, poi, è tornato ad ampliarsi anche il divario di produttività: il 2% in Europa contro il 10% degli Stati Uniti, trainati dai settori a più alta tecnologia.

L’economia europea «ha bisogno di interventi rapidi e strutturali, scanditi da tempi certi». La “Bussola per la competitività” della Ue, basata anche sul rapporto di Mario Draghi, «va nella giusta direzione, ma non affronta il nodo cruciale di dove trovare le risorse», per le quali serve un mix di pubblico e privato. E qui viene da Panetta un altro dato interessante: se si passasse a «un mercato dei capitali integrato, con al centro un titolo comune europeo» – i cosiddetti Eurobond -, la parallela riduzione dei costi di finanziamento per le imprese attiverebbe «investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro all’anno innalzando, a regime, il prodotto dell’1,5%».

E «l’esperienza di Next Generation Eu dimostra che è possibile emettere debito comune senza dover creare un’unione fiscale». Come mega-progetto europeo si guarda con più favore alla nascente Unione del risparmio e degli investimenti.Anche l’Italia si trova in mezzo al guado e deve attrezzarsi «a navigare in acque incerte, senza restare indietro». Da noi «i problemi di crescita e innovazione che ora assillano l’Europa, sono emersi prima»: oggi cresciamo pochissimo, ma più della media europea, l’occupazione è in progresso e, insomma, «rispetto a 15 anni fa i nostri fondamentali sono nettamente migliorati». Grazie anche al sostegno dato dal Pnrr europeo, dai cui interventi previsti nel biennio 2025-26 è attesa ora una spinta al prodotto dello 0,5%.

Tuttavia, «il percorso di risanamento dei conti pubblici è solo all’inizio» e per questa ragione la difficoltà di trovare risorse non ci agevola a migliorare: basti dire, ricorda Bankitalia, che mentre si parla di portare le spese per la difesa al 2% del Pil e oltre, la spesa media per le università è ferma all’1% del Prodotto interno lordo, ancora meno dell’1,3 europeo. In Italia, poi, una ulteriore zavorra viene dai maggiori costi dell’energia e per questo, «più che altrove in Europa, è urgente intervenire» per farli scendere.





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