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Banca d’Italia, la ricetta di Panetta contro i dazi: eurobond e innovazione


Per la seconda volta il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta fotografa la situazione attuale – dai dazi alle trasformazioni digitali, dalla geopolitica mondiale ai salari italiani – nelle sue considerazioni finali. Davanti al mondo della finanza, delle istituzioni e dei sindacati, Panetta ha ricordato l’allarme numero uno per l’economia: i dazi. “L’inasprimento delle barriere doganali potrebbe sottrarre quasi un punto percentuale alla crescita mondiale nell’arco di un biennio”, con un effetto doppio negli Usa, ha avvertito il governatore.

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Non è un caso se il Fondo monetario internazionale ha abbassato le previsioni di crescita mondiale a meno del 3% in due anni, al di sotto della media degli scorsi decenni, ha ricordato Panetta, che ha sottolineato che sempre i dazi potrebbero far ri-aumentare l’inflazione, deprimere i consumi e la domanda di lavoro.

Consapevole che i dazi vengono usati da Donald Trump come “leva negoziale” (come ammesso dallo stesso presidente Usa rispondendo, stizzito, alle domande sul termine ‘TACO‘), Panetta guarda i fatti.

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I dazi attualmente in vigore, nonostante ripensamenti e trattative, sono comunque i più elevati del secondo dopoguerra, e hanno spinto al rialzo le tariffe a livello mondiale. Intanto la corte di appello Usa ha congelato la sentenza del Tribunale del commercio internazionale, e le tariffe sono ancora in vigore.

“Dopo gli annunci di aprile, le azioni europee hanno subìto un brusco deprezzamento, accompagnato da un aumento della volatilità e da una dilatazione dei premi per il rischio di credito e di liquidità. Le tensioni sono poi rientrate e non hanno avuto ripercussioni sulla stabilità finanziaria, grazie alla solidità del sistema bancario europeo e al miglioramento dei conti pubblici nei Paesi vulnerabili”, ha sottolineato Panetta. “La fiducia degli investitori”, però, “rimane labile”.

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La ricetta anti-dazi

Come difendersi, quindi? Secondo Panetta la ricetta è un bond europeo per finanziare investimenti pubblici. Un eurobond, o un “titolo pubblico europeo”, dice il governatore, può “finanziare la componente pubblica degli investimenti e fornire un riferimento comune, solido e credibile all’intero sistema finanziario”. Un mercato dei capitali integrato con al centro un titolo comune europeo “ridurrebbe i costi di finanziamento per le imprese, attivando investimenti aggiuntivi per 150 miliardi di euro all’anno e innalzando, a regime, il prodotto dell’1,5%. L’effetto sul Pil potrebbe risultare fino a tre volte maggiore se i nuovi investimenti fossero destinati a progetti ad alto contenuto tecnologico”.

Perché oltre a investire, bisogna anche assicurarsi che quegli investimenti abbiano un effetto concreto: Panetta ricorda che dal 2019 la produttività del lavoro europea è aumentata del 2%, contro il 10 negli Stati Uniti. Se si allarga il focus agli ultimi trent’anni, lo svantaggio è di 25 punti percentuali. Il motivo è che, semplicemente, non riusciamo a innovare, dice Panetta, sia a livello di ricerca e di imprenditorialità, visto che investiamo la metà delle imprese Usa in ricerca e sviluppo, in rapporto al Pil. A investire, aggiunge, sono aziende vecchie ma solide, e non quelle giovani che spesso scelgono l’estero.

“Nell’intelligenza artificiale i brevetti europei sono meno di un quinto di quelli statunitensi, a fronte di un divario ben più contenuto, pari al 30 per cento, nella produzione scientifica”, ricorda Panetta.

Nel suo discorso Panetta cita anche, ovviamente, la Cina, che secondo i dati utilizzati come riferimento da Bankitalia nel 2023 aveva un terzo della produzione mondiale di ricerca scientifica, una percentuale quattro volte superiore a quella di quindici anni prima. “In Europa la spesa pubblica per ricerca e sviluppo è di entità paragonabile a quella statunitense, ma è frammentata tra Stati membri”, dice Panetta, e “l’assenza di un coordinamento efficace limita la possibilità di realizzare progetti su scala continentale”.

“Nonostante la rapida ascesa della Cina, l’Europa rimane un’eccellenza nella ricerca scientifica, alla pari con gli Stati Uniti in numerosi settori avanzati”, ha affermato il governatore della Banca d’Italia nelle sue considerazioni finali.

Questa forza – ha spiegato – non si traduce però in “innovazione produttiva”.

I conti italiani

Dopo una “lunga fase di stagnazione dell’economia italiana”, negli ultimi cinque anni e nonostante la crisi pandemica, l’Italia “ha mostrato segni di una ritrovata vitalità economica” con “la crescita che ha superato quella dell’area dell’euro”, ha detto il governatore della Banca d’Italia, Panetta, nelle sue considerazioni finali.

“Il Pil – ha illustrato nel dettaglio – è aumentato di circa il 6%, trainato da un incremento di quasi il 10% nel settore privato. Oltre che dalle costruzioni, un contributo significativo è venuto dai servizi, in espansione sia nei comparti tradizionali sia in quelli avanzati. Gli occupati sono aumentati di un milione di unità, raggiungendo il massimo storico di oltre 24 milioni” e “il tasso di disoccupazione è sceso dal 10% al 6%”, con “il Mezzogiorno che ha registrato uno sviluppo leggermente superiore alla media nazionale”.

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L’allarme su demografia e lavoro

Per l’Italia i campanelli d’allarme riguardano il mondo del lavoro e l’inverno demografico, con il numero di persone in età lavorativa in diminuzione che potrebbe provocare una contrazione del Pil dell’11% entro il 2040. “Un aumento dei tassi di partecipazione al mercato del lavoro attenuerebbe questo impatto”, dice Panetta. Quindi anche “una maggiore inclusione delle donne, la cui partecipazione resta tra le più basse d’Europa, nonostante i progressi recenti”.

Per questo serve investire su infanzia e asili nido, continua il governatore, ma non basterà. Bisognerà anche attirare gli italiani – 700mila negli ultimi dieci anni, di cui un quinto laureati – che si spostano lontano dall’Italia, che intanto vanta anche la più bassa quota di immigrati laureati tra i principali Paesi europei. L’immigrazione regolare sarà fondamentale nei settori delle costruzioni e del turismo, a corto di manodopera, ma anche nelle attività a maggior valore aggiunto. Per attirare immigrati qualificati, dice, servono due cose: “L’adeguamento dei sistemi di riconoscimento dei titoli di studio e delle competenze agli standard europei” e l’investimenti in “formazione”.



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