I finanziamenti più costosi faranno male. Il mercato del debito giapponese è tornato alla ribalta negli ultimi giorni perché un’inflazione decisamente più alta si concilia male con le esigenze di finanziamento del governo. I tassi sono schizzati in alto sulle scadenze più lunghe, cambiando radicalmente le prospettive per chi detiene asset di debito a lungo termine. Il rendimento del decennale giapponese, ora all’1,50%, è salito di 90 punti base rispetto ai livelli di inizio 2024.
Conto salato per le aziende europee
Il Giappone non è un caso isolato: il decennale statunitense è salito di 60 punti base nello stesso periodo e quello francese di 70 punti base. Più lunga è la scadenza, maggiore è l’allargamento degli spread, spiegano gli esperti di AlphaValue. Alla luce di ciò, hanno rispolverato un report scritto sei mesi fa riguardo l’aumento dei costi di finanziamento per le aziende europee. La tabella sotto mostra l’interesse effettivamente pagato dagli emittenti europei, escludendo banche e assicurazioni. Il tasso d’interesse privo di rischio è in aumento dai minimi del 2020. Tuttavia, il tasso d’interesse apparente non è aumentato, per cui lo spread effettivamente pagato sui livelli esistenti di debito è sceso dal 4% a meno del 2%.
La domanda ovvia è se uno spread corporate dell’1,7% possa resistere ai rischi percepiti in aumento. In effetti, il mondo sta vivendo un «reset» del rischio, mentre le iniziative di Donald Trump costringono le aziende a uscire dal loro torpore. «Pensiamo chiaramente che i finanziatori vorranno di più in termini di spread quando arriverà il momento di rifinanziare i vecchi livelli di debito», avvertono gli analisti di AlphaValue. «I finanziamenti più economici, ovvero il denaro quasi gratis durante il Covid, saranno probabilmente rimborsati entro la fine dell’anno in corso».
A rischio 22 miliardi di euro di utili
Se saranno i mercati del debito a guidare la situazione (come gli analisti di AlphaValue credono), un ulteriore allargamento dello spread corporate di 100-150 punti base è destinato a riflettersi nei conti economici del 2025-2026, assumendo un roll medio (tempi di rotazione) a 5 anni. Ebbene, «un aumento di 100 punti base vale circa 22 miliardi di euro in utili post-tasse, ovvero un’erosione del 3% nelle stime sui profitti delle società europee», calcolano gli analisti di AlphaValue.
Una pressione che si aggiungerà alla guerra commerciale, a un dollaro debole e a episodi di inflazione salariale qua e là. Il commento degli analisti di AlphaValue presume che i tassi a lunga scadenza rimangano dove sono, ma le loro stesse fluttuazioni determineranno il livello dello spread richiesto. Lo scenario peggiore, avvertono, sarebbe che gli emittenti si trovino di fronte a un pil in rallentamento con costi di finanziamento in aumento. Nel complesso, sembra probabile che i conti economici delle grandi aziende europee non abbiano ancora sperimentato per intero il costo dell’aumento dei tassi (iniziato all’inizio del 2022), che continua senza sosta sulla parte lunga della curva. Il conto degli interessi», concludono ad AlphaValue, «finirà per essere doloroso». (riproduzione riservata)
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