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La Russa: «Aiuti nella Striscia e una linea chiara, il governo non si è risparmiato. Il voto? Conteranno le Regionali»


di
Francesco Verderami

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Il presidente del Senato: «Morti innocenti inaccettabili. Il 7 ottobre alla radice del conflitto»

Da presidente del Senato rileva «l’estrema chiarezza» del governo su Gaza, la cui linea è stata esposta dal ministro degli Esteri in Parlamento. Così Ignazio La Russa decide di far proprie le parole di Antonio Tajani, «l’indignazione per le morti innocenti» e le forme «assolutamente drammatiche e inaccettabili del conflitto in cui bambini, donne e anziani pagano colpe non loro». Tenendo a ricordare che «le radici della guerra hanno origine nel massacro del 7 ottobre e nella condizione di cattività in cui versano gli ostaggi israeliani. E tutto questo senza che ci siano stati fino al momento passi indietro da parte dei terroristi di Hamas e dei loro protettori iraniani, uniti nel disegno di voler cancellare lo stato di Israele».

Ecco perché rispetta ma non condivide le critiche delle forze di opposizione per l’atteggiamento dell’esecutivo: «Sono valutazioni legittime anche se piegate a logiche di politica interna, al rapporto con il loro elettorato. Perché il governo italiano non si è risparmiato nel fornire aiuto alla gente di Gaza e nel chiedere il cessate il fuoco».




















































Viene chiesta la condanna di Benjamin Netanyahu, attaccato persino da politici del suo stesso Paese per le modalità con cui prosegue le operazioni nella Striscia.
«Penso che il premier israeliano non si fermerà finché non si sarà fermato il disegno di coloro che vogliono annientare il suo Paese. Ed è difficile trovare una soluzione che eviti l’allargamento del conflitto senza un percorso condiviso dalle parti. Per questo mi ritrovo nel discorso di Tajani e così si spiega la richiesta di Netanyahu di avere la garanzia che nessuno, ad accordo concluso, miri nuovamente a debellare Israele. C’è chi vuole due popoli e due stati e chi vuole uno stato solo».

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Come in Medio Oriente, anche sul fronte russo-ucraino non si vedono al momento soluzioni al conflitto. Nonostante Donald Trump fosse convinto che avrebbe trovato un’intesa.
«Il presidente americano ci ha messo la faccia, usando metodi non convenzionali pur di aprire spazi negoziali. Ma se non cambia la visione dell’aggressore russo, parlare di “via diplomatica” — come fanno molti politici in Italia — è solo un modo di illudere. Perché ricercare la pace è una necessità sacrosanta. Altra cosa è la resa di un Paese a cui Mosca, con la sua volontà egemonica, non darebbe neppure garanzie per il futuro. In ogni caso, va registrato che fino a poco tempo fa parlavano solo le bombe, mentre adesso qualcosa si muove».

Dai suoi colloqui istituzionali cosa ha ricavato per le prospettive future?
«Per quanto non sia granché ottimista, una speranza c’è. E questa speranza può avere fondamento solo se l’Occidente parla con un’unica voce. Cioè la voce comune degli Stati Uniti e dell’Europa. Che deve diventare adulta superando le logiche degli ultimi decenni, con un maggiore impegno nel settore della Difesa che finora è stato largamente delegato a Washington. Inoltre, ritengo che i leader europei debbano sforzarsi di avere, almeno sui grandi temi, una voce armonica che non vuol dire trovarsi sempre d’accordo su tutto».

Gli eventi internazionali oscurano le vicende interne. Ma la mini tornata delle Amministrative segnala una battuta di arresto della maggioranza.
«I risultati sono stati a macchia di leopardo: alcuni positivi per il centrodestra, altri negativi come Genova. Dall’inizio non mi convinceva la scelta di Pietro Piciocchi, che era vicesindaco uscente. Il mio giudizio non riguardava il profilo del candidato, di sicuro valore, ma un aspetto di cui non si è tenuto conto: un vicesindaco quasi mai viene eletto nel voto successivo. Specie se alle spalle ha solo un percorso amministrativo e non politico».

Politico è Maurizio Lupi, che ha indicato come candidato per Milano suscitando polemiche nel centrodestra.
«Su Lupi ho solo riportato il suggerimento datomi contestualmente da autorevoli personalità della società civile milanese, secondo i quali il leader di Noi moderati sarebbe un ottimo sindaco. C’è tempo per scegliere: se in corso d’opera emergesse la figura di un civico con buone probabilità di successo, la candidatura andrebbe presa in seria considerazione».

Intanto si avvicinano le Regionali, che potrebbero mettere ancor più in risalto il problema della classe dirigente di FdI.

«Le Regionali, per quanto diverse dalle Politiche, hanno in effetti una valenza politica. Ma è priva di fondamento la tesi che FdI — e più in generale il centrodestra — non abbia una classe dirigente all’altezza. La verità è che nei nostri confronti c’è spesso del pregiudizio e vengono messe in evidenza certe esternazioni a volte non impeccabili, piuttosto che la qualità del lavoro. Ma dove noi abbiamo ora il ministro Tajani che è stato presidente del Parlamento europeo, prima c’era Luigi Di Maio. E mentre noi abbiamo Musumeci, Urso, Giuli, Lollobrigida, Crosetto, loro avevano Bonafede, Trenta, Speranza. Voglio essere molto buono: diciamo che siamo almeno pari».

Sarà, ma nel suo partito ammettono di avere problemi nel trovare rappresentanti della società civile come candidati. Pensa sia dovuto al modo in cui viene considerata la classe dirigente di FdI?
«Se finora abbiamo avuto difficoltà ad ottenere la disponibilità di rappresentanti della società civile, è perché, tranne meritorie eccezioni, temono di tirarsi addosso gli attacchi dei media e magari accuse infondate. E si chiedono: “Chi me lo fa fare?”».

Sta dicendo che tutto va bene?
«Sto ricordando come sia storicamente nota la difficoltà del centrodestra e della destra in particolare a consolidare i risultati delle Amministrative. Purtroppo, nelle elezioni comunali il consenso della destra, anche per la presenza di liste civiche, è risultato quasi dimezzato rispetto alle Politiche. Bisogna porre rimedio. In vista delle Regionali penso che la coalizione debba puntare su candidature politiche. Sarebbe un guaio se le scelte dipendessero dagli equilibri tra partiti e non dalla necessità di trovare persone giuste per vincere».


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