Ecco perché è una leva strategica per crescere
Molte piccole e medie imprese italiane vedono ancora la sostenibilità come un obbligo normativo o una moda per grandi aziende. In realtà, la sostenibilità è oggi una delle leve più efficaci per innovare, ridurre i costi, attrarre talenti e rafforzare la competitività.
Vediamo allora perché conviene fare sul serio con la sostenibilità, anche in una PMI.
Chi investe in sostenibilità cresce di più
Secondo i dati ISTAT riportati nel Rapporto ASviS, le imprese italiane che hanno adottato pratiche sostenibili hanno registrato una produttività del lavoro superiore del 5-8% rispetto a quelle non attive su questi temi.
E non è tutto: Cassa Depositi e Prestiti ha rilevato che le imprese manifatturiere che applicano modelli di economia circolare hanno generato risparmi di oltre 16 miliardi di euro nei costi di produzione, mostrano anche una maggiore capacità di coprire i costi del debito grazie a risultati finanziari migliori.
La sostenibilità rafforza il brand e coinvolge i dipendenti
Secondo uno studio di The European House – Ambrosetti, il 92% delle imprese familiari e l’89% delle non familiari afferma che integrare la sostenibilità nel business ha portato benefici. In cima alla lista: reputazione e fiducia nel brand. La sostenibilità è quindi considerata uno degli obiettivi prioritari delle imprese nel prossimo futuro: per le aziende familiari è la seconda per importanza (40%), subito dopo l’accesso a nuovi mercati (47%).
Le imprese sostenibili sono sinonimo di affidabilità finanziaria
Dall’analisi condotta da ESG Outlook 2024 di Crif, nel secondo semestre del 2023, emerge che le PMI con un elevato livello di adeguatezza ai criteri ESG hanno visto un tasso di erogazione dei finanziamenti superiore dell’11% rispetto alla media, mentre quelle con punteggi ESG molto bassi hanno subito una riduzione del 6%.
E ancora, l’analisi di Crif, evidenzia che, nel secondo semestre del 2023, i finanziamenti erogati a PMI, che hanno adottato pratiche sostenibili, registrano tassi di default inferiori del 34% rispetto alla media, mentre le imprese riconducibili alla peggiore classe ESG presentano un tasso di default superiore dell’11%, indicando una correlazione positiva tra elevata adeguatezza ESG e riduzione del rischio di credito.
La sostenibilità è già diventata un requisito di accesso alle grandi filiere.
Le PMI sostenibili hanno maggiore probabilità di qualificarsi come partner di una grande impresa capo-filiera. Le imprese manifatturiere con un profilo di sostenibilità “alto” hanno registrato una crescita addizionale del valore aggiunto pari al 16,7% rispetto a quelle non sostenibili, a parità di altre condizioni.
La sostenibilità piace agli investitori
Oltre il 75% degli investitori globali considera i fattori ESG nelle decisioni di investimento, con la governance considerata come fattore più importante, seguita da ambiente e sociale. Inoltre, l’80% degli investitori crede che l’ESG influenzi la performance finanziaria, soprattutto riducendo i rischi estremi, la volatilità dei portafogli, e migliorando il rapporto rischio/rendimento (fonte 2024 Institutional Investor Survey on Sustainability” condotto dalla Stanford Graduate School of Business, Hoover Institution e MSCI Sustainability Institute).
Le imprese sostenibili sono più pronte ad affrontare il cambiamento e la transizione verde
La rilevazione annuale sugli investimenti della Banca Europea degli Investimenti condotta nel 2023 mostra che le imprese manifatturiere italiane risultano più preparate ad affrontare le conseguenze della transizione verde rispetto alle loro omologhe europee. Solo il 21% delle imprese italiane indica l’inasprimento degli standard e delle normative climatiche come un rischio, una percentuale significativamente inferiore a quelle registrate in Germania (42%), Francia (41%), Spagna (39%) e nell’UE nel suo complesso (36%), mentre più del 50% delle imprese manifatturiere italiane ha già investito nell’efficientamento energetico, in linea con quelle di Francia, Germania e Spagna.
Il Rapporto ASviS, in collaborazione con Oxford Economics, mostra che nello scenario di transizione “Net Zero Transformation” il PIL italiano crescerà dell’8,4% in più entro il 2050 rispetto allo scenario tendenziale. E già nel 2035 la disoccupazione sarà più bassa di 0,7 punti percentuali.
Il costo dell’inazione – dal non considerare i rischi climatici fisici e ambientali al non prendere misure di mitigazione e di adattamento – per contro, secondo il World Economic Forum, porterà a maggiori costi per le imprese. il costo dell’inazione è ben più alto degli investimenti necessari per adattarsi e mitigare i danni. Secondo le stime del WEF, il cambiamento climatico avrebbe già causato ad oggi danni per oltre 3,6mila miliardi di dollari a livello globale, e potrebbe determinare un crollo del Pil mondiale del 22% entro il 2100. Secondo l’Asvis, per chi non è preparato, queste minacce potrebbero tradursi in perdite tra il 5% e il 25% del Margine operativo lordo entro il 2050, con i settori più dipendenti dalle infrastrutture tra i più esposti. Gli effetti a cascata di queste perdite non si limiteranno al mondo aziendale: comunità intere vedranno il proprio tessuto economico sfaldarsi, con ripercussioni su lavoro, redditi e costo della vita.
In altre parole: chi si muove adesso raccoglierà benefici prima degli altri. Chi aspetta, rischia di trovarsi fuori mercato.
Nonostante le dimensioni più contenute, le PMI non sono affatto escluse da questa traiettoria. La sostenibilità non è però un vincolo. È una strategia di resilienza e di crescita, anche e soprattutto per le piccole e medie imprese. Oggi, scegliere di innovare in chiave green non è solo una buona pratica. È una decisione competitiva, capace di generare valore economico, ambientale e sociale.
Le PMI che investono oggi saranno le leader sostenibili di oggi e di domani.
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