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Variazione Iva in diminuzione per il piano di ristrutturazione omologato


Con la risposta a interpello n. 79/E/2025, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito alla possibilità, per il creditore di un soggetto che ricorre a un piano di ristrutturazione con omologazione (articolo 64-bis, D.Lgs. 14/2019), di emettere la nota di variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, ex articolo 26, D.P.R. 633/1972.

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Una società, nello svolgimento della propria attività, ha maturato un credito commerciale nei confronti di un cliente in attesa dell’omologa giudiziale del piano di ristrutturazione di cui agli articoli 64-bis e ss., D.Lgs. 14/2019 (c.d. Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza).

Il dubbio dell’istante è relativo al momento in cui sorge, per il creditore, il diritto all’emissione della nota di variazione in diminuzione dell’Iva e, segnatamente, se questo possa essere individuato:

  • nell’anno di apertura della procedura; ovvero
  • nell’anno di emissione del decreto di omologa; ovvero
  • in un momento ancora diverso.

 

Disciplina applicabile alle procedure concorsuali aperte prima del 26 maggio 2021

Nel testo dell’articolo 26, comma 2, D.P.R. 633/1972 in vigore prima delle modifiche introdotte dall’articolo 18, D.L. 73/2021 (c.d. Decreto Sostegni-bis) era prevista la facoltà, in capo al cedente/prestatore, di rettificare in diminuzione l’imponibile e l’imposta applicata quando l’operazione viene meno o se ne riduce l’ammontare imponibile in conseguenza del mancato pagamento comprovato da:

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− procedure esecutive individuali o concorsuali rimaste infruttuose;

− accordi di ristrutturazione dei debiti omologati ai sensi dell’articolo 182-bis, L.F. o piani attestati ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera d), L.F..

L’articolo 1, commi 126 e 127, L. 208/2015 (c.d. Legge di Stabilità 2016), con una formulazione analoga a quella successivamente novellata dall’articolo 18, D.L. 73/2021, aveva anticipato al momento di apertura della procedura concorsuale la possibilità di emettere una nota di credito e, dunque, di portare in detrazione l’Iva corrispondente alla variazione in diminuzione, in caso di mancato pagamento connesso alla procedura concorsuale, anziché doverne attendere l’infruttuosa conclusione per l’esercizio del relativo diritto.

Tuttavia, tale novità, applicabile nei casi in cui il cessionario/committente fosse stato assoggettato a una procedura concorsuale successivamente al 31 dicembre 2016, non ha mai trovato applicazione, in quanto l’articolo 1, comma 567, lettera d), L. 232/2016 (c.d. Legge di Stabilità 2017) ne ha disposto l’abrogazione, ripristinando la previsione in base alla quale l’emissione della nota di variazione può avvenire solo dopo l’infruttuosa conclusione della procedura.

 

Illegittimità della previgente disciplina

Nella legislazione previgente, il riferimento all’esito infruttuoso della procedura concorsuale si poneva in contrasto con l’interpretazione dell’articolo 90, Direttiva 2006/112/CE fornita dalla giurisprudenza comunitaria, tenuto conto dell’eccessiva durata delle procedure concorsuali[1].

Ad avviso della Corte UE, la finalità di tale disposizione è quella di consentire agli Stati membri di individuare, tenendo conto del sistema giuridico nazionale, le situazioni concrete in cui il mancato pagamento può considerarsi ragionevolmente verificato e in quale misura. In sostanza, si afferma che uno Stato membro non può subordinare la riduzione della base imponibile all’infruttuosità di una procedura concorsuale qualora la stessa possa durare più di 10 anni.

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Inoltre, sempre secondo i giudici comunitari, la variazione in diminuzione è ammessa anche in presenza di una ragionevole probabilità che il debito non sia saldato, spettando alle Autorità nazionali il compito di stabilire, nel rispetto del principio di proporzionalità e sotto il controllo del giudice, quali siano le prove di una probabile durata prolungata del non pagamento che il soggetto passivo deve fornire in funzione delle specificità del diritto nazionale applicabile[2].

A livello nazionale, la giurisprudenza di legittimità, alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia UE, ha affermato che la facoltà degli Stati membri di ricorrere al meccanismo previsto dall’articolo 26, D.P.R. 633/1972, si fonda sull’assunto che, in presenza di talune circostanze e in ragione della situazione giuridica esistente nello Stato membro interessato, il mancato pagamento del corrispettivo può essere difficile da accertare o essere solamente provvisorio[3]. Per i giudici di legittimità deve, quindi, ritenersi possibile attivare la procedura di variazione in diminuzione dell’imposta qualora sia ragionevolmente probabile che il debito non sia saldato, superando il precedente orientamento in materia[4].

 

Termine iniziale per l’emissione della nota di variazione in diminuzione

Per effetto delle novità introdotte dall’articolo 18, Decreto Sostegni-bis, dal comma 2, articolo 26, D.P.R. 633/1972 è stato eliminato il riferimento alle ipotesi di mancato pagamento, parziale o totale, da parte del cessionario/committente, “a causa di procedure concorsuali o di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose o a seguito di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato (…) ovvero di un piano attestato (…) pubblicato nel registro delle imprese”, le quali sono ora oggetto della specifica disciplina dettata dal nuovo comma 3-bis, articolo 26, D.P.R. 633/1972.

L’articolo 18, comma 2, D.L. 73/2021, ha previsto che la novità si applica alle procedure concorsuali avviate dal 27 maggio 2021.

L’Agenzia delle entrate ha, invece, specificato che le nuove disposizioni si applicano alle procedure concorsuali avviate dal 26 maggio 2021, cioè dalla data di entrata in vigore del c.d. Decreto Sostegni-bis[5].

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L’articolo 3-bis, D.L. 228/2021 (c.d. Decreto Milleproroghe) ha anticipato la data di decorrenza della nuova disciplina, in linea con le indicazioni dell’Agenzia delle entrate.

Di conseguenza, se il debitore è stato sottoposto a una procedura concorsuale in una data precedente al 26 maggio 2021 dovrà fare ancora riferimento alla precedente disciplina recata dal previgente testo dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972, attendendo l’esito infruttuoso della stessa per poter emettere la nota di variazione in diminuzione.

 

Procedure concorsuali

Il comma 3-bis, articolo 26, D.P.R. 633/1972, prevede che la variazione in diminuzione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, a opera del cessionario/committente:

  • per le procedure concorsuali, gli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis,F. e i piani attestati ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera d), L.F.;
  • per le procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

Per le procedure concorsuali, il comma 10-bis, articolo 26, D.P.R. 633/1972, stabilisce che la variazione in diminuzione conseguente al mancato pagamento, in tutto o in parte, del corrispettivo può essere operata a partire dalla data di apertura della procedura concorsuale, senza quindi attenderne l’esito; in particolare, dalla data:

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− della sentenza dichiarativa del fallimento;

− del provvedimento che ordina la liquidazione coatta amministrativa;

− del decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo;

− del decreto che dispone la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi.

Accordi di ristrutturazione dei debiti e piani attestati

È confermato, anche nella nuova disciplina, che la variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta può essere esercitata:

  • dalla data del decreto che omologa l’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’articolo 182-bis,F.;
  • dalla data di pubblicazione nel Registro Imprese del piano attestato ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera d), L.F..

Fermo restando che, per i piani attestati di risanamento, la variazione in diminuzione è ammessa a condizione che l’accordo sia pubblicato nel Registro Imprese e prospetti il pagamento parziale de debito, il documento di ricerca della Fnc e il Cndcec ha evidenziato che, in caso di mancata pubblicazione, si applica l’articolo 26, comma 3, D.P.R. 633/1972, relativo agli accordi sopravvenuti tra le parti, che subordina il recupero dell’imposta alla condizione che non sia già trascorso un anno dal momento di effettuazione dell’operazione imponibile originaria, potendo altrimenti essere emessa una nota di credito soltanto ai fini contabili.

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Procedure esecutive individuali

Anche nell’ipotesi di attivazione di una procedura esecutiva individuale è confermato che la variazione in diminuzione resta subordinata all’esito infruttuoso della medesima e, ai sensi del comma 12, articolo 26, D.P.R. 633/1972, il creditore deve attendere:

  • il verbale di pignoramento da cui risulti che presso il terzo pignorato non vi sono beni o crediti da pignorare (nel caso di pignoramento presso terzi);
  • il verbale di pignoramento dal quale risulti la mancanza di beni da pignorare o l’impossibilità di accesso al domicilio del debitore o la sua irreperibilità (nel caso di pignoramento di beni mobili);
  • qualora si decida di interrompere la procedura esecutiva per eccessiva onerosità, dopo che per 3 volte l’asta per la vendita del bene pignorato sia andata deserta.

 

Variazione in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta

Come chiarito dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 20/E/2021, la variazione in diminuzione, in caso di mancato pagamento conseguente alla procedura concorsuale alla quale è stato ammesso il debitore, non può essere riferita alla sola Iva, ma anche all’imponibile, in quanto la variazione riguarda il corrispettivo non incassato dal creditore[6].

Con riferimento al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione del debito, il citato documento di prassi ha precisato che la variazione in diminuzione dell’Iva deve essere riferita solo alla parte del credito che nel decreto di accesso e nella sentenza di omologazione rimarrà insoddisfatto.

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Tale interpretazione, secondo il documento di ricerca della Fnc e il Cndcec, può ritenersi corretta solo ove sia possibile assumere che vi sia una ragionevole certezza del fatto che la parte rimanente del credito sarà soddisfatta. Infatti, nell’ipotesi in cui il pagamento ricevuto dal creditore sia minore o superiore rispetto alla percentuale determinata nei provvedimenti di cui sopra, il creditore avrà diritto a procedere a una ulteriore variazione, oppure, nel caso di pagamento superiore, sarà obbligato a procedere a una variazione in aumento.

 

Preventiva insinuazione del creditore al passivo

La giurisprudenza comunitaria ha analizzato il caso del creditore al quale è stata negata la rettifica dell’imposta assolta a causa della mancata insinuazione al passivo fallimentare.

Al fine di garantire il rispetto del principio di neutralità dell’Iva, la Corte di Giustizia UE ha affermato che la riduzione della base imponibile è ammessa in specifici casi e, in particolare, nell’ipotesi in cui il creditore stesso possa dimostrare che, anche qualora avesse insinuato il credito in questione, quest’ultimo non sarebbe stato riscosso[7].

In aderenza alla nuova formulazione della norma, risultante dalle modifiche operate dall’articolo 18, Decreto Sostegni-bis, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che l’emissione della nota di variazione in diminuzione, a decorrere dalla data di avvio della procedura concorsuale e, conseguentemente, la detrazione dell’imposta non incassata, non risulta preclusa al creditore che non abbia effettuato l’insinuazione al passivo del credito corrispondente[8].

Deve, quindi, intendersi superata la posizione assunta in proposito con precedenti documenti di prassi, secondo cui la nota di variazione in diminuzione è emessa in subordine alla “necessaria partecipazione del creditore al concorso[9].

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Cessione del credito

Assonime ha ritenuto che la nuova indicazione dell’Agenzia delle entrate valga anche nei casi in cui il credito per il quale s’intende ottenere il recupero dell’Iva venga ceduto, affermando che, in caso di cessione del credito, per effetto dell’eliminazione del requisito dell’insinuazione al passivo della procedura, il creditore originario dovrebbe avere titolo per operare la variazione al momento dell’avvio della procedura, prescindendosi dalla partecipazione alla stessa; e ciò sia se il credito sia stato ceduto prima di tale momento, sia se sia stato ceduto successivamente e senza doversi distinguere tra cessione pro solvendo e cessione pro soluto[10].

Riguardo all’importo per il quale è ammessa la variazione, l’associazione ritiene che debba ritenersi ancora indifferente l’importo ricevuto dal creditore originario dal soggetto che ha acquistato il credito, in quanto l’incasso del prezzo di cessione non equivale, per il cedente, al pagamento dell’operazione originaria.

 

Termine per la detrazione dell’Iva

In base al comma 2, articolo 26, D.P.R. 633/1972, il cedente/prestatore:

“ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell’articolo 19 l’imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell’articolo 25”.

A sua volta, l’articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972 dispone che: “il diritto alla detrazione dell’imposta relativa ai beni e servizi acquistati o importati sorge nel momento in cui l’imposta diviene esigibile ed è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all’anno in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.

Come chiarito dall’Agenzia delle entrate, l’esercizio del diritto alla detrazione dell’Iva relativa alle fatture di acquisto ricevute è subordinato all’esistenza di un duplice requisito in capo al cessionario/committente, essendo richiesto[11]:

  • il presupposto sostanziale dell’effettuazione dell’operazione;
  • il presupposto formale del possesso della relativa fattura, redatta conformemente alle disposizioni di cui all’articolo 21, D.P.R. 633/1972, da parte del soggetto passivo committente/cessionario.

È al verificarsi di entrambi i presupposti che il soggetto passivo cessionario/committente può operare, previa registrazione della fattura secondo le modalità previste dall’articolo 25, comma 1, D.P.R. 633/1972, la detrazione dell’imposta assolta con riferimento agli acquisti di beni/servizi, ovvero alle importazioni di beni.

Il diritto alla detrazione può, quindi, essere esercitato entro la data di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui si sono verificati entrambi i menzionati presupposti e con riferimento al medesimo anno.

Come già chiarito con alcune risposte a interpello[12], a parziale modifica e integrazione di quanto già chiarito con la circolare n. 1/E/2018, i principi sopra richiamati si applicano anche con riferimento alla detrazione dell’Iva relativa alla nota di variazione in diminuzione, nel senso che emessa tempestivamente detta nota – entro il termine di presentazione ordinario della dichiarazione annuale Iva relativa all’anno in cui si sono verificati i presupposti per operare la variazione in diminuzione l’imposta detratta confluirà nella relativa liquidazione periodica o, al più tardi, nella dichiarazione annuale Iva di riferimento. Rileva, in altre parole, ai fini della detrazione, anche il momento di emissione della nota di variazione, che rappresenta il presupposto formale necessario per l’esercizio concreto del diritto.

Nella circolare n. 10/2022, Assonime ha osservato che, per esigenze di certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento del contribuente, devono ritenersi corretti i comportamenti adottati dal contribuente, in conformità alla precedente circolare n. 1/E/2018, nel periodo antecedente alla pubblicazione della circolare n. 20/E/2021, anche in considerazione del fatto che il nuovo orientamento dovrebbe risultare, di regola, di maggior favore per il contribuente permettendo l’esercizio della detrazione un anno più tardi nei casi in cui la fattura o la nota di variazione sia stata emessa l’anno successivo quello dell’acquisto o del verificarsi del fatto che dà diritto alla variazione.

L’associazione ha, inoltre, rilevato che il maggior termine per la detrazione non elimina i problemi che potrebbero derivare dal termine stringente per l’emissione della nota di credito, come nei casi in cui la procedura concorsuale si apra nel mese di dicembre, dato che il contribuente avrebbe solo i 4 mesi dell’anno successivo per emettere la nota di credito, essendo obbligato a emetterla entro il termine di presentazione relativo all’anno in cui è sorto il presupposto.

Sarebbe, pertanto, opportuno che l’Agenzia delle entrate riconoscesse al contribuente la facoltà di effettuare la variazione in diminuzione anche alla conclusione della procedura, considerando l’infruttuosità della procedura, alla quale il creditore ha partecipato, come un presupposto ulteriore e autonomo della variazione.

Alla luce dell’esempio prospettato dalla circolare n. 20/E/2021, se il presupposto per operare la variazione in diminuzione si verifica nel periodo d’imposta 2024, la nota di variazione può essere emessa, al più tardi, entro il termine di presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno 2024, vale a dire entro il 30 aprile 2025. Se la nota è emessa nel periodo dal 1° gennaio al 30 aprile 2025, la detrazione può essere operata nell’ambito della liquidazione periodica Iva relativa al mese o trimestre in cui la nota viene emessa, ovvero direttamente in sede di dichiarazione annuale relativa all’anno 2025 (da presentare entro il 30 aprile 2026).

 

Rapporto tra la nota di variazione e la dichiarazione integrativa “a favore” e l’istanza di rimborso

Nella circolare n. 20/E/2021 è stato confermato l’orientamento della prassi secondo cui, nel caso in cui il termine per l’emissione della nota di variazione sia già spirato, non è possibile presentare una dichiarazione integrativa Iva “a favore”, ai sensi dell’articolo 8, comma 6-bis, D.P.R. 322/1998, per recuperare l’imposta versata, laddove non si riscontri la presenza di errori e omissioni cui rimediare.

Riguardo, invece, all’istituto disciplinato dall’articolo 30-ter, D.P.R. 633/1972, la circolare n. 20/E/2021 ha chiarito che, trattandosi di una norma residuale ed eccezionale, la stessa trova applicazione ogni qual volta sussistano condizioni oggettive che non consentono di esperire il rimedio di ordine generale (nella specie, l’emissione di una nota di variazione in diminuzione). Ne consegue che il predetto rimborso non può essere chiesto per ovviare alla scadenza del termine di decadenza per l’esercizio del diritto alla detrazione qualora decorso per “colpevole” inerzia del soggetto passivo.

La possibilità di ricorrere al rimborso deve essere riconosciuta, invece, laddove, ad esempio, il contribuente, per motivi a lui non imputabili, non sia legittimato a emettere una nota di variazione in diminuzione ai sensi dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972[13].

Come osservato da Assonime nella circolare n. 10/2022, la formulazione dell’articolo 30-ter, D.P.R. 633/1972, non lascia intendere che si tratti di norma residuale ed eccezionale il cui ricorso sarebbe precluso nei casi in cui il contribuente abbia trascurato di attivare il rimedio “ordinario” dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972. La restituzione dell’imposta a norma dell’articolo 30-ter, D.P.R. 633/1972, sembra, piuttosto, un rimedio preordinato ad assicurare la neutralità del tributo e la sua efficacia verrebbe meno se fosse limitato il suo ambito di applicazione alle sole ipotesi in cui il cedente/prestatore sia stato oggettivamente impossibilitato a ricorrere alla procedura di variazione.

 

Obblighi in capo al cessionario/committente

Di regola, in base all’articolo 26, comma 5, D.P.R. 633/1972, laddove il cedente/prestatore si avvalga della facoltà di operare la variazione in diminuzione, il cessionario/committente che abbia già annotato l’operazione nel registro degli acquisti deve annotare la variazione nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, nei limiti della detrazione operata, salvo il suo diritto alla restituzione dell’importo pagato al cedente/prestatore a titolo di rivalsa.

Come, tuttavia, previsto dall’articolo 18, Decreto Sostegni-bis, tale obbligo non si applica nel caso delle procedure concorsuali, sicché l’imposta – a seguito della variazione operata dal cedente/prestatore – resta a carico dell’Erario, in quanto il curatore o commissario che riceve la nota di variazione, non essendo tenuto ad annotarla nel registro delle fatture emesse o dei corrispettivi, non provvede a riversarla allo Stato.

In considerazione dello specifico richiamo alle procedure concorsuali di cui al comma 3-bis, lettera a), articolo 26, D.P.R. 633/1972, la circolare n. 20/E/2021 ha chiarito che l’obbligo di registrazione della variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata, continua a operare, in capo al cessionario/committente, negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani attestati.

Tali istituti, infatti, non sono qualificabili come procedure concorsuali in senso stretto, in quanto carenti sia del carattere della “concorsualità”, sia di quello dell’“ufficialità”. Di conseguenza, il cedente/prestatore può portare in detrazione l’Iva nella misura esposta nella nota di variazione, mentre la controparte è tenuta a ridurre in pari misura la detrazione che aveva effettuato, riversando l’imposta all’Erario.

Il predetto obbligo di registrazione della variazione, in rettifica della detrazione originariamente operata, resta, inoltre, confermato in capo al cessionario/committente nelle ipotesi di procedure esecutive individuali infruttuose, richiamate dal comma 3-bis, lettera b), articolo 26, D.P.R. 633/1972.

 

Variazione in aumento a seguito del pagamento del corrispettivo

In base al novellato comma 5-bis, articolo 26, D.P.R. 633/1972, nel caso in cui, successivamente all’emissione della nota di variazione in diminuzione, il corrispettivo sia pagato, in tutto o in parte, sorge l’obbligo di emettere una nota di variazione in aumento.

In questa ipotesi, il cessionario/committente ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione in aumento previa registrazione della relativa nota e, come puntualizzato dalla circolare n. 20/E/2021, il diritto alla detrazione può essere esercitato solo dai cessionari/committenti che hanno in precedenza operato la rettifica dell’imposta in aumento e versato la stessa all’Erario.

 

Variazione in diminuzione dell’Iva per i piani di ristrutturazione omologati

Con riferimento al caso oggetto della risposta a interpello n. 79/E/2025, il piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, disciplinato dagli articoli 64-bis e ss., D.Lgs. 14/2019, introdotti dall’articolo 16, comma 1, D.Lgs. 83/2022, non è a oggi contemplato dall’articolo 26, D.P.R. 633/1972.

L’articolo 9, L. 111/2023 (c.d. delega per la Riforma fiscale) prevede l’estensione della procedura di variazione in diminuzione dell’Iva a tutti gli istituti disciplinati dal Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza.

In attesa dell’attuazione, l’Agenzia delle entrate ha inteso recepire le indicazioni espresse dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 23 novembre 2017, causa C-246/16, che nel censurare la precedente formulazione dell’articolo 26, D.P.R. 633/1972 ha:

  • in ogni caso escluso, nell’osservanza del principio di neutralità dell’Iva, che l’imprenditore, in caso di mancato pagamento del corrispettivo, possa rimanere inciso dell’imposta versata all’Erario;
  • previsto che la riduzione possa essere accordata allorché il soggetto passivo segnali l’esistenza di una probabilità ragionevole che il debito non sia saldato, anche a rischio che la base imponibile sia rivalutata al rialzo nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque.

Pertanto, secondo l’Agenzia delle entrate:

  • nell’ipotesi del piano di ristrutturazione soggetto a omologazione, il diritto all’emissione della nota di variazione in diminuzione resta subordinato alla conclusione dell’accordo e, per l’effetto, il termine per l’emissione della nota di credito, limitatamente all’importo falcidiato, decorre dal Decreto di omologa del piano;
  • resta fermo l’obbligo di emettere una nota di variazione in aumento – come previsto dal comma 1, articolo 26, D.P.R. 633/1972 – qualora, in un momento successivo, il corrispettivo oggetto di falcidia sia pagato, in tutto o in parte.

 

[1] Cfr. Corte di Giustizia UE, 23 novembre 2017, causa C-246/16.

[2] Cfr. Corte di Giustizia UE, 11 giugno 2020, causa C-146/19.

[3] Cfr. Cassazione n. 2589/2020.

[4] Cfr. Cassazione n. 27136/2011.

[5] Cfr. circolare n. 20/E/2021.

[6] Nello stesso senso si veda la risposta a interpello n. 485/E/2022.

[7] Cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 11 giugno 2020, causa C-146/19, cit..

[8] Cfr. circolare n. 20/E/2021, cit..

[9] Cfr. risoluzioni n. 195/E/2008, n. 89/E/2002 e n. 155/E/2011 e circolare n. 77/E/2000.

[10] Cfr. circolare n. 10/E/2022.

[11] Cfr. circolare n. 1/E/2018.

[12] Cfr. risposte a interpello n. 119/E/2021 e n. 192/E/2020.

[13] Si vedano, tra le altre, le risposte a interpello n. 592/E/2020, n. 593/E/2020 e n. 190/E/2019.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Iva in pratica”.



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