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una scommessa persa dall’Italia? Le conseguenze economiche di una scelta miope oltre che ingiusta


di Stefano Vernole – 27/05/2025

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Fonte: faro di Roma

Ventisei mesi di calo consecutivo della produzione industriale e il peso delle sanzioni alla Russia. L’invio di armi all’Ucraina ha cambiato le sorti del conflitto?
Dalla mancata ricostruzione ai costi del sostegno all’Ucraina sul welfare italiano. Il contributo dell’Italia è quantificato intorno allo 0,1% del Pil, che nel 2024 equivaleva a 2,192 miliardi di euro (1). Ma è davvero così?
Ufficialmente, in tre anni di guerra in Ucraina, gli alleati di Kiev hanno stanziato circa 267
miliardi di euro (quindi oltre 80 miliardi l’anno) di cui la metà (cioè 130 miliardi) in assistenza militare, altri 118 in aiuti finanziari e 19 miliardi in aiuti umanitari.
Gli Stati Uniti sono la nazione che ha fatto di più in termini di sostegno a Kiev ma tutti i Paesi europei insieme hanno dato all’Ucraina più degli Stati Uniti in termini di denaro, come evidenzia l’Ukraine Support Tracker del Kiel Institute che ha pubblicato un ampio rapporto (2).
L’Europa ha destinato nel complesso a Kiev 132 miliardi di euro (70 in aiuti finanziari e umanitari
e 62 in aiuti militari) contro i 114 miliardi degli USA, 64 in armi e 50 in aiuti finanziari e
umanitari.

L’invio di armi dall’Italia all’Ucraina

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Secondo quanto riferito dal sito ufficiale della Camera dei Deputati all’inizio del 2025: “In
conseguenza del perdurare della grave crisi internazionale in Ucraina, il decreto-legge n. 200/2024 (A.S. 1335, A.C. 2206) ha prorogato fino al 31 dicembre 2025, previo atto di indirizzo delle Camere, l’autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità governative ucraine, nei termini e con le modalità previste dall’articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14. Per l’anno 2024, l’autorizzazione alla cessione era stata prorogata con il decreto-legge n. 200/2023, e sono stati pubblicati il “nono pacchetto” (Gazzetta ufficiale del 10 luglio 2024) e il “decimo pacchetto” (Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 2024) di invio di materiali ed equipaggiamenti militari all’Ucraina, con contenuto, come in precedenza, classificato”.

Si ricorda, inoltre, che il 21 gennaio 2025 al Senato e il 22 gennaio 2025 alla Camera, in seguito alle comunicazioni rese dal Ministro della Difesa ai sensi dell’articolo 1 del decreto-legge n. 185 del 2022, sono state approvate le risoluzioni che impegnano il Governo, tra l’altro, a proseguire il sostegno militare all’Ucraina (al Senato la risoluzione n. 6 Craxi, Terzi Di Sant’Agata, Pucciarelli, Petrenga, Barcaiuolo, Ronzulli, Galliani, Rosso, Lotito, Damiani, Trevisi, Ternullo, Silvestro, Paroli), risultando assorbite o precluse le altre proposte di risoluzione presentate; alla Camera è stata interamente approvata la risoluzione n. 6-147 Bignami, Molinari, Barelli e Lupi; sono state parzialmente approvate le risoluzioni n. 6-148 Braga e altri, n. 6-152 Faraone e altri, nel testo riformulato, la risoluzione n. 6-151 Richetti e altri e, infine, nel testo riformulato, la risoluzione Della Vedova e Magi n. 6-153 ).

Secondo quanto previsto dall’articolo 2-bis del decreto legge n. 14 del 2022, espressamente richiamato dall’articolo 1 del decreto legge n. 185 del 2022, l’elenco dei mezzi, dei materiali e degli equipaggiamenti militari oggetto della cessione e le modalità di realizzazione della stessa devono essere individuati con uno o più decreti del Ministro della Difesa, adottati di concerto con il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e con il Ministro dell’Economia e delle Finanze.
Il richiamato articolo 2-bis del decreto legge n. 14 del 2022 prevede che il Ministro della Difesa e il Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con cadenza almeno trimestrale, riferiscano alle Camere sull’evoluzione della situazione in atto.
In relazione alle cessioni di armi, sono stati finora emanati i seguenti decreti ministeriali:
– d.m. 2 marzo 2022 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 3 marzo);
– d.m 22 aprile 2022 (Gazzetta Ufficiale del 28 aprile);
– d.m. 10 maggio 2022 (Gazzetta Ufficiale del 28 aprile);
– d.m. 26 luglio 2022 (Gazzetta Ufficiale del 29 luglio);
– d.m. 7 ottobre 2022 (Gazzetta Ufficiale del 12 ottobre);
– d.m. 31 gennaio 2023 (Gazzetta Ufficiale del 2 febbraio 2023);
– d.m. 23 maggio 2023 (Gazzetta Ufficiale del 31 maggio 2023);
– d.m. 19 dicembre 2023 (Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2023);
– d.m. 25 giugno 2024 (Gazzetta Ufficiale del 10 luglio 2024);
– d.m. 12 dicembre 2024 (Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 2024)
più un undicesimo decreto già presentato da Crosetto al Copasir il 7 maggio 2025 e che verrà presto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il cui contenuto è secretato ma che dovrebbe prevedere l’invio di dispositivi per la difesa aerea, come i missili Aster per il sistema Samp-T.
I decreti ministeriali citati hanno un medesimo contenuto. I mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari di cui si autorizza la cessione sono elencati in un allegato, “elaborato dallo Stato Maggiore della difesa”, che è però classificato. Lo Stato Maggiore della Difesa viene anche autorizzato ad adottare “le procedure più rapide per assicurare la tempestiva consegna dei mezzi, materiali ed equipaggiamenti”.

Come si legge nella relazione tecnica allegata ai decreti legge di proroga, “dalla proroga non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, tenuto conto che i materiali e mezzi oggetto di cessione sono già nelle disponibilità del Ministero della Difesa. Eventuali oneri ad essi connessi saranno sostenuti nell’ambito delle risorse disponibili a legislazione vigenti. Si precisa che le cessioni di mezzi, materiali e armamenti avvengono a titolo non oneroso per la parte ricevente (cioè il Governo ucraino) ma, al pari di quelle realizzate dagli altri Stati membri, sono parzialmente rimborsate dall’Unione Europea attraverso i fondi dello Strumento europeo per la pace (European Peace Facility)”.
Per tali cessioni, il Consiglio dell’Unione ha finora disposto lo stanziamento di 6,1 miliardi di euro.
Nel marzo 2024 è stato anche istituito, all’interno dello strumento, un fondo speciale per il sostegno all’Ucraina, con ulteriori 5 miliardi di euro” (3).

Assistenza per i sovraindebitati

Saldo e stralcio

 

Usciamo ora dall’ambito della comunicazione istituzionale e cerchiamo di capire in cosa consista davvero l’assistenza militare italiana all’Ucraina.
Nessun dettaglio è stato finora fornito circa armi, mezzi e munizioni contenuti nel nuovo pacchetto di aiuti all’Ucraina, forniture che come noto sono mantenute segrete in seguito a quanto disposto nel 2022 dal Governo Draghi e non modificato dall’esecutivo guidato da Giorgia Meloni.
Le ipotesi che circolano circa il contenuto del 10° pacchetto riguardano un numero non precisato di missili Aster 30 per il sistema di difesa aerea SAMP/T fornito con il 9° pacchetto, a fine settembre.
In un lancio dell’ANSA del 3 settembre si legge: “Lo scorso aprile l’Italia aveva inoltre già fornito a Kiev anche i missili da crociera Storm Shadow/Scalp che possono colpire ad una distanza di 500 chilometri, potenzialmente anche obiettivi in Russia dunque. Ma secondo il caveat, come più volte sottolineato dai ministri italiani, le armi cedute non possono essere usate sul suolo russo”.
La cessione di missili Storm Shadow italiani all’Ucraina venne resa nota dall’allora Ministro della Difesa britannico Grant Shapps ma non è mai stata confermata né smentita da fonti governative italiane. Tali missili, integrati sui velivoli ucraini Sukhoi Su-24M, avrebbero un raggio d’azione limitato a 250 chilometri, ma se l’Italia li ha davvero forniti a Kiev non si può escludere che ne possa cedere altri anche se le scorte di queste armi presso l’Aeronautica Militare (che li ha impiegati nelle operazioni in Libia nel 2011) potrebbero essere numericamente limitate (4).

In un’inchiesta pubblicata dal settimanale “L’Espresso” e di cui riportiamo qui ampi stralci:
“Risultano in corso numerose trattative del Governo di Kiev con aziende private con sedi centrali o distaccate in Italia per forniture di materiale spesso diverso da quel tipo di materiale che solitamente è servito a reggere l’avanzata russa. Per esempio proiettili d’artiglieria, sistemi di difesa aerea, missili a media gittata. Lo scorso anno, ha appreso L’Espresso, l’Ucraina ha comprato, e ricevuto, armi fabbricate in Italia per 222 milioni di euro. Per armi fabbricate in Italia si intende pure quelle realizzate in stabilimenti di multinazionali come la tedesca Rheinmetall che, assieme alla controllata
Rwm specializzata in bombe con impianti a Domusnovas in Sardegna, ha raggiunto quasi un miliardo di euro in esportazioni nel 2023.

Comunque, i 222 milioni di euro di transiti verso l’Ucraina nel 2024 sono un dato inferiore ai 417 milioni assommati nel 2023 e assai superiore ai 3,8 del 2022, ma non riflettono l’andamento e, in particolare, il significato di questi negoziati che più fonti confermano. Le dogane registrano le spedizioni, dunque arrivano per ultime, dopo la fase diproduzione e dopo la firma dei contratti. È facile prevedere un aumento del fatturato italiano per quest’anno, ma quel che interessa è che l’industria bellica si prepari a sostenere una
specie di pace, pazienza se parecchio armata. Che non vuol dire affari in picchiata. Tutt’altro … Per varie ragioni più politiche che militari, l’Europa decise (febbraio 2022) di apporre il segreto sulle armi cedute gratuitamente a Kiev, soprattutto su indicazione dei tedeschi, che non volevano spaventare la pubblica opinione e dei francesi, che non volevano esibire carenze nei depositi. Parigi ha allentato il segreto, Berlino l’ha rimosso, l’Italia l’ha confermato. I dieci pacchetti in tre anni hanno un valore economico stimato e molto labile: stimato, per effetto del segreto; molto labile, perché riguarda
dotazioni già in uso o addirittura in disuso. È capitato con dei carri armati pronti a essere rottamati.

Ascoltate più fonti referenziate, la stima per i dieci pacchetti di aiuti è di circa 2,5 miliardi di euro con l’aggiunta di un 10% di costi logistici per il trasferimento. Insomma, sotto i 3 miliardi di euro. Per dare un parametro complessivo, secondo le elaborazioni del Consiglio Europeo, per le forze armate ucraine i membri dell’Unione hanno speso 48,3 miliardi di euro, di cui 42,2 in maniera bilaterale e 6,1 con lo strumento Epf, acronimo che sta per European peace facility. Epf è un fondo utilizzato per la politica estera dell’Ue in scenari ingarbugliati. La guerra l’ha indirizzato principalmente alla causa di Kiev. La sua capienza è di 17 miliardi di euro dal 2021 al 2027. La gran parte, 11,1 miliardi, è destinata alle forze armate di Kiev. Un paio di miliardi sono serviti a finanziare un programma di munizionamento. Il meccanismo di Epf dovrebbe incentivare la generosità dei singoli eserciti: per ogni cento euro di armi cedute a Kiev, Epf ne può restituire da
quaranta a sessanta euro. Il meccanismo è piaciuto moltissimo agli eserciti più piccini e malandati che hanno cercato di piazzare ferraglia del passato e assicurarsi così risorse da investire. La quota di partecipazione a European peace facility in capo all’Italia è fissa: 12,8% del totale, cioè 2,17 miliardi per l’intero Epf, 1,4 miliardi per l’Ucraina. Il Governo di Roma ha cominciato con bonifici da 60 milioni di euro, adesso sono previsti stanziamenti di 461 milioni per il 2025, 547 per il 2026, 544 per il 2027. A oggi l’Italia ha sborsato circa mezzo miliardo per Epf. Il grosso deve ancora venire.

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Il computo parziale a beneficio delle forze armate di Kiev, il più esatto possibile, a oggi si
aggira sui 3/3,5 miliardi di euro. A fronte di ritorni per l’industria bellica nazionale di parecchi miliardi perché, oltre ai 643 milioni di euro di acquisti del Governo ucraino nel periodo 2022-2024, ci sono altri clienti europei che hanno ordinato in Italia e girato a Kiev. I 3/3,5 miliardi di euro, però, non comprendono il ricasco sulla Difesa che ha vuotato le rimesse per Kiev, ma poi ha prenotato nuove bombe e nuovi mezzi” (5) .
Secondo Milex, l’Osservatorio sulle spese militari italiane, dai programmi di armamento da avviare ai rincari sui programmi di armamento già avviati, circa 4,160 miliardi di euro sono riconducibili alla guerra in Ucraina, in pratica sono serviti a rimpiazzare il materiale bellico donato a Kiev: 14,5 milioni di euro per rafforzare la filiera per le munizioni; 808 milioni per missili e lanciamissili antiaerei spalleggiabili e veicolari; 51 milioni per scorte di missili anticarro Spike; 1,8 miliardi per obici semoventi ruotati; 1,3 miliardi per l’incremento dei costi per cinque batterie missilistiche Samp/T con annessi razzi Aster; 186 milioni non previsti per batterie Shorad Grifo con missili Camm-Er (6) .

Riassumendo i numeri nascosti nel piano di riarmo nazionale ed estrapolati da Milex: “808 milioni di euro nel programma per l’acquisto di missili e lanciamissili antiaerei spalleggiabili e veicolari della Mbda Italia a rimpiazzo dei vecchi Stinger americani … 51 milioni con il primo decreto per il completamento della seconda fase del programma di acquisizione per l’esercito di nuove scorte di missili anticarro israeliani Spike, inviati in Ucraina a inizio conflitto insieme ai vecchi missili anticarro Milan e Panzerfaust e un secondo decreto da 92 milioni … 1,8 miliardi per l’acquisto dei nuovi obici semoventi ruotati Rch155 della tedesca Knds, destinati a rimpiazzare gli obici a traino Fh70 oltre ai vecchi semoventi M109 dismessi, affiancando i semoventi attualmente in linea Pzh2000: tutti sistemi oggetto di cessione a Kiev … 2,51 miliardi per l’acquisizione di cinque nuove batterie missilistiche Samp/T di nuova generazione (dal costo unitario di circa 500 milioni) e
relativi missili Aster 30 (da circa 2 milioni l’uno) … 4,29 miliardi, un incremento del 43% in tre anni, nel Documento programmatico pluriennale della Difesa del 2021 per il rinnovamento e potenziamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica e 981 milioni, +23%. anche per il programma di ammodernamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica a media portata” (8).

Secondo Enrico Piovesana, sono perciò diversi i programmi che presentano dei sospetti sui costi reali. “Il programma per l’acquisto di missili e lanciamissili antiaerei spalleggiabili e veicolari della Mbda Italia per un valore di 808 milioni a rimpiazzo dei vecchi Stinger americani. Nel testo del programma “Rinnovamento della capacità Very Short Range Air Defence (VSHORAD) relativo all’acquisizione di sistemi di difesa aerea a cortissima portata per l’Esercito” (Atto Governo 113) non c’è alcun riferimento esplicito che leghi questi acquisti – richiesti dalla Difesa a fine 2023 e approvati dal Parlamento a inizio 2024 per rifornire le brigate di manovra dell’Esercito – alle cessioni degli Stinger a Kiev. Fatto sta che gli Stinger in dotazione a dette brigate sono stati ceduti all’Ucraina fin dai primi pacchetti del 2022. C’è poi il completamento della seconda fase del programma di acquisizione per l’Esercito di nuove scorte di missili anticarro israeliani Spike, inviati in Ucraina a inizio conflitto insieme ai vecchi missili anticarro Milan e Panzerfaust. Dopo l’approvazione di un primo decreto da 51 milioni presentato dal Ministero della Difesa nell’estate del 2022 (Atto Governo 404), il secondo decreto da 92 milioni presentato ad aprile 2024 (Atto Governo 153) risulta tutt’ora sospeso. Merita certamente attenzione per il suo impatto finanziario
anche l’avvio del nuovo programma da 1,8 miliardi, sottoposto dalla Difesa al Parlamento nel settembre 2024 (Atto Governo 203), per l’acquisto dei nuovi obici semoventi ruotati Rch155 della tedesca Knds, destinati a rimpiazzare gli obici a traino Fh70 oltre ai vecchi semoventi M109 dismessi, affiancando i semoventi attualmente in linea Pzh2000: tutti sistemi oggetto di cessione a Kiev. Quindi, in qualche misura, questo programma ricade tra le spese ripianamento scorte legato alle forniture per l’Ucraina. L’acquisizione di cinque nuove batterie missilistiche Samp/T di nuova generazione (dal costo unitario di circa 500 milioni) e relativi missili Aster 30 (da circa 2 milioni l’uno) è stata avviata prima dello scoppio del conflitto in Ucraina, dove abbiamo mandato due delle cinque vecchie batterie in dotazione all’Esercito. Ma a destare qualche sospetto è un aumento dei costi difficilmente spiegabile come un semplice rincaro legato alla dinamica inflazionistica generale
degli ultimi anni. Nel Documento Programmatico Pluriennale (Dpp) della Difesa del 2021 il
programma di “rinnovamento e potenziamento della capacità nazionale di difesa aerea e
missilistica” prevedeva un costo complessivo di 3 miliardi. Nel Dpp del 2023, tenendo conto degli stanziamenti già allocati nelle annualità precedenti, l’onere complessivo sale a 4 miliardi, per arrivare a 4,29 miliardi nel Dpp 2024. Un incremento del 43% in tre anni. E tutto questo prima che il Ministro Crosetto annunciasse lo scorso settembre il raddoppio della commessa, da cinque a dieci nuove batterie”.

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Come sottolineato dal senatore Bruno Marton, capogruppo dei Cinque Stelle in commissione Esteri e Difesa: “Solo la Difesa può sapere in che misura i programmi di riarmo nazionali sono destinati al ripianamento di scorte esaurite dagli invii in Ucraina. È qui che si nasconde il costo reale di questa operazione, perché una cosa è il valore che avevano le vecchie armi cedute, un’altra è quello delle nuove armi da comprare come rimpiazzo. Questa mancanza di informazioni è grave perché impedisce a noi parlamentari di giudicare con cognizione di causa gli acquisti di nuovi armamenti, su cui è chiaro che questo Governo vuole le mani libere. Come dimostra anche la bocciatura del
nostro emendamento al decreto Ucraina per consentire l’accesso a questi dati almeno ai membri delle commissioni Difesa” (7).

C’è un altro fattore estremamente preoccupante e riguarda l’intenzione da parte dell’esecutivo di raggiungere il tanto chiacchierato obiettivo del 2% del Pil in spesa militare, un parametro aleatorio, che va oltre i fondi pubblici realmente a disposizione dello Stato (e dunque delle decisioni governative) e che è scollegato da reali esigenze tecnico-militari. Se riguardo al primo aspetto si ragiona “all’italiana”: “ovvero 45,1 miliardi considerando il valore odierno dichiarato – si dovrebbe concretizzare un investimento aggiuntivo di almeno 9,7 miliardi. Un investimento enorme per le casse statali italiane, che infatti il Mef punta a tagliare di qualche miliardo presentando alla Nato una spesa militare che comprenda anche altre voci già a bilancio ma finora non considerate. Il secondo espediente, che ricorda l’aneddoto di certi carri armati spostati da una parte all’altra per far percepire un totale complessivo di armamenti maggiore del reale (9)”, rende la faccenda più seria,
visto che nel Libro Bianco per la Difesa Europea 2030 la Russia viene menzionata ben 16 volte e soprattutto è indicata da Bruxelles quale minaccia principale: “L’Ucraina rimarrà in prima linea nella difesa e nella sicurezza europea ed è il teatro chiave per definire il nuovo ordine internazionale con la propria sicurezza interconnessa con quella dell’Unione Europea. L’UE ei suoi Stati membri dovranno rafforzare la difesa e la capacità di sicurezza dell’Ucraina attraverso una strategia del porcospino, in modo che sia in grado di scoraggiare eventuali ulteriori attacchi e garantire una pace
duratura. È quindi imperativo che l’UE ei suoi Stati membri aumentino urgentemente la loro
assistenza militare all’Ucraina …”(10) .

Nell’annunciare l’innalzamento delle spese del PIL per la Difesa al 2%, il Governo Meloni ha
confermato il proprio impegno a fianco dell’Ucraina con l’invio dell’undicesimo pacchetto di aiuti militari e con un rafforzamento strutturale delle spese per la difesa; il pacchetto include 400 mezzi cingolati M113, munizioni e il sistema di difesa aerea Samp/T, ritenuto “essenziale per contrastare i continui attacchi missilistici russi … Sul fronte operativo, il nuovo pacchetto di aiuti resta in parte coperto da segreto, ma non dovrebbe contenere elementi di novità rispetto a quanto già inviato nei mesi scorsi. I mezzi M113, già forniti dal Governo Draghi nel 2022, sono stati richiesti nuovamente dall’esercito ucraino per il trasporto della fanteria. Non è escluso, inoltre, che l’Italia possa continuare a fornire supporto satellitare per monitorare i movimenti delle truppe russe, con l’impiego della rete aerospaziale in coordinamento con la Nato” (11).
Tale provvedimento è stato preceduto dalla Risoluzione del Parlamento europeo del 2 aprile 2025 sull’attuazione della politica di sicurezza e di difesa comune in cui si ricorda che “l’UE deve assumere impegni in materia di sicurezza nei confronti dell’Ucraina, come raccomandato dal patto di sicurezza di Kiev, al fine di scoraggiare ulteriori aggressioni russe” e dove “ribadisce con decisione il suo invito agli Stati membri dell’UE affinché rispettino tempestivamente gli impegni e forniscano all’Ucraina armi, aerei da combattimento, droni, sistemi di difesa aerea, sistemi d’arma e
munizioni, compresi missili da crociera aviolanciati e sistemi terra-terra, e aumentino sensibilmente le relative quantità” (12).

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I risultati militari sul terreno

Nonostante l’enorme fornitura euroatlantica di armi a Kiev, le forze russe hanno conquistato 4.168 chilometri quadrati di territorio ucraino nel corso del 2024, oltre sette volte di più rispetto al 2023 (584 kmq), secondo l’analisi dello statunitense Institute for the Study of War (ISW) resa nota lo scorso 30 dicembre. Le cittadine conquistate dai russi hanno un rilevante valore militare, o in termini di capisaldi di prima linea o in termini di centri logistici, come dimostrato dai lunghi, sanguinosi ed estenuanti combattimenti sviluppatisi fin dal 2022 intorno ad Avdiivka e Ugledar. Le conclusioni dell’ISW sottolineano come “gli aiuti occidentali rimangono fondamentali per la capacità dell’Ucraina di stabilizzare la linea del fronte nel 2025. Le forze ucraine, con il supporto degli alleati occidentali, devono quindi lavorare per integrare le operazioni dei droni ucraini e l’artiglieria con risorse sufficienti e le capacità di attacco a lungo raggio, e le unità di fanteria ucraine impegnate per difendersi dalle avanzate russe e minare la teoria della vittoria di Putin nel 2025”.

L’anno in corso non ha certo migliorato la situazione delle truppe di Kiev; dopo essere stati espulsi dalla regione di Kursk con decine di migliaia di vittime, i soldati ucraini devono ora preoccuparsi dell’apertura di un altro fronte a nord nella zona di Sumy e continuano a perdere terreno in Donbass, dove Pokrovsk e Konstantinovsky sembrano ormai alla portata di Mosca.
Non è migliore la prospettiva degli ucraini a Kherson e Zaporozhia, un fronte in cui si teme una nuova offensiva russa grazie all’ausilio di truppe recentemente addestrate (13) .
Secondo il generale francese in pensione Dominique Delawarde, uno dei pochi analisti a prevedere fin dal 2022 la vittoria russa in una guerra di logoramento contro la NATO, lo squilibrio militare tra Russia e Ucraina sta crescendo in modo significativo e potrebbe portare persino alla caduta di Kiev: “La Russia continua a reclutare circa 1.000 soldati al giorno, un ritmo superiore alle perdite subite sul campo di battaglia. Per questo motivo sta diventando sempre più forte”, ha affermato Delawarde. Al contrario, l’Ucraina perderebbe più uomini al fronte di quanti ne riesca a mobilitare, esaurendo progressivamente le proprie riserve. Il generale ha sottolineato che Mosca non avrebbe ancora impiegato tutto il proprio potenziale nel conflitto, e ritiene che il tempo giochi a favore della Russia, non solo dal punto di vista militare ma anche economico e geopolitico: “La debolezza
economica dell’Europa alla fine andrà a vantaggio della Russia” (14) .

Le difficoltà economiche del Vecchio Continente

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Contributi per le imprese

 

Il mese di maggio 2025 segna per l’Italia il ventiseiesimo mese consecutivo di calo della
produzione industriale, con una crescita del PIL nel primo trimestre dell’anno che ha raggiunto un deludente 0,3% (la metà di quanto previsto dal Governo Meloni).
Il Presidente di Confindustria, Emanuele Orsini, ha ribadito nuovamente che l’energia “non è un problema, è il problema. Oggi si è parlato tanto di competitività, ma il vero nodo è la tenuta del sistema produttivo e delle imprese (15)”. Se l’ex Presidente Emma Marcegaglia aggiunge “che non si può far finta di non vedere”, bisogna rilevare come accanto ai tragici errori dei Governi Draghi e Meloni si sia assistito negli ultimi quattro anni ad un quasi totale asservimento della classe dirigente industriale italiana alle decisioni prese da Bruxelles e da Washington ed eseguite dai “vassalli” politici di Roma.

Senza soffermarsi nuovamente sull’evidenza che l’attuale crisi deve molto alle sanzioni comminate alla Russia, va ricordato come proprio sul tema energia si siano registrate le falle più evidenti della narrazione atlantista (16).

Contro ogni evidenza, la tabella di marcia RePowerEu, presentata recentemente dalla Commissione europea, intende spianare la strada per garantire la piena indipendenza energetica dell’UE dalla Russia, anche se come ammette candidamente Bruxelles: “Nonostante i notevoli progressi compiuti nell’ambito del piano RePowerEu e attraverso le sanzioni dall’invasione russa dell’Ucraina, nel 2024 l’Ue ha registrato una ripresa delle importazioni di gas russo”. Per l’Italia, in forte necessità, le importazioni di gas russo nel 2024 sono addirittura triplicate rispetto all’anno precedente, secondo quanto riportato dall’osservatorio britannico Ember. L’Unione Europea, in particolare, è passata dai
38 miliardi di metri cubi di gas russo del 2023 ai 45 miliardi del 2024 ed a trainare le importazioni è stata proprio l’Italia, che è passata da 2,1 miliardi a 6,2 miliardi da un anno all’altro.
In totale, nel 2024, le importazioni di combustibili fossili russi da parte dell’UE hanno raggiunto i 21,9 miliardi di euro, superando i 18,7 miliardi di euro di aiuti finanziari forniti all’Ucraina; nel 2024 la quota di gas naturale liquefatto russo è aumentata del 5,5%, facendo della Russia il secondo fornitore (17,5%) dell’UE dopo gli Stati Uniti (45,3%).

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Eppure, il ragionamento della Commissione Europea non si è spostato di un millimetro: “L’Unione Europea intende porre fine alla sua dipendenza dall’energia russa interrompendo le importazioni di gas e petrolio russi ed eliminando gradualmente l’energia nucleare proveniente dal gigante euroasiatico, garantendo nel contempo la stabilità dell’approvvigionamento energetico e dei prezzi in tutta l’Unione” (17) . Come, non è dato sapere, visti i disastrosi risultati conseguiti finora e l’opposizione di Slovacchia ed Ungheria che da Mosca vogliono continuare ad importare energia.
Tuttavia, il mezzo giuridico individuato dalla Commissione per permettere alle aziende di sciogliere gli accordi commerciali in essere è la clausola di forza maggiore, che le renderà non responsabili dal punto di vista contrattuale, segnando un altro preoccupante “precedente” giuridico dal punto di vista del diritto internazionale dopo il sequestro dei fondi russi congelati all’estero (3 miliardi di euro, per ora) (18) .

Se la classe dirigente italiana conservasse ancora un barlume di ragione, dovrebbe lavorare sulle ipotesi reali e non sulle follie ideologiche di Bruxelles.
Promos Italia, l’Agenzia Nazionale delle Camere di commercio per l’Internazionalizzazione delle imprese, ha condotto un’indagine su circa cinquanta imprese italiane che già operano in Russia per indagare l’impatto che prevedono potrebbe avere l’eventuale fine del conflitto tra Russia e Ucraina.

Il 31% delle imprese considera di riprendere le attività di scambio economico con un impatto positivo sui ricavi in caso di stabilizzazione dell’area. Il 58% stima di tornare ad operare su quei mercati in modo graduale e con maggiore prudenza. Le conseguenze del conflitto, per la parte di fatturato legato alla Russia, ci sono state per il 70% delle imprese. In particolare, per circa una su tre, il 34%, la riduzione è stata limitata a meno del 20%. Per il 23% la riduzione di questa parte di fatturato, riguardante gli scambi con la Russia, è stata superiore al 50%. Tra i settori favoriti da una possibile riappacificazione, troviamo al primo posto le costruzioni col 40% delle risposte, poi l’agroalimentare col 17%, infine meccanica e moda design, entrambe col 14%, seguono medicale ed energia. Fattori di freno alla ripresa degli scambi con la Russia per le imprese figurano al primo
posto le sanzioni internazionali per il 52%, seguono l’instabilità politica e l’incertezza economica per il 29%. Il 12% rileva un calo nella domanda russa di prodotti italiani, mentre i dati parlano chiaro: nel 2024 gli scambi tra Italia e Russia sono scesi a 7,8 miliardi di euro, con un calo del 65% rispetto al 2019, quando erano 22 miliardi 19.

Naturalmente, mentre Italia ed Europa si suicidavano economicamente con inutili embarghi, c’è chi ha approfittato della crescita del mercato russo (la Russia vanta una crescita del PIL al + 4% nel 2025 ed è la quarta economia al mondo per PIL a parità di potere d’acquisto) per fare affari. Molti Paesi del Caucaso e dell’Asia centrale hanno visto un boom del loro interscambio con Mosca: una triangolazione che rende possibile aggirare le sanzioni occidentali. L’esportazione di migliaia di prodotti è vietata verso la Russia, ma non verso i suoi partner commerciali o i Paesi con cui intrattiene relazioni amichevoli, che diventano la porta di servizio attraverso la quale continuare a commerciare. Per facilitarli, in risposta alle sanzioni occidentali, Mosca ha legalizzato le cosiddette importazioni parallele, cioè realizzate senza il permesso del detentore del diritto di proprietà
intellettuale attraverso canali di approvvigionamento alternativi. Le autorità russe hanno secretato tutte le statistiche sul commercio estero per evitare “valutazioni inadeguate, operazioni speculative e interpretazioni errate”, rendendo così impossibile ogni confronto con Rosstat, l’agenzia statistica russa, ma i dati resi disponibili da fonti estere come il Fondo monetario internazionale o le Nazioni unite concordano sul fatto che i Paesi vicini hanno visto il loro commercio con la Russia aumentare vertiginosamente.

Il Kirghizistan, in particolare, è finito nel mirino dell’Occidente. La scorsa estate, una delegazione del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti è andata a Bishkek con la minaccia di espellere le banche del Paese dal sistema SWIFT se non avessero posto fine alle transazioni con operatori russi.
Parallelamente, l’UE minaccia di inserire aziende e individui nella sua “lista nera”, ma gli sforzi non sembrano sufficienti, anche perché i suoi operatori si rendono conto che andrebbero a danneggiare ancora di più le tante aziende italiane ed europee che operano queste triangolazioni (20).

Il “business” della ricostruzione ucraina

Stando alle speranze della cordata euroatlantica responsabile delle decisioni irresponsabili di cui sopra, una volta che l’Ucraina avesse vinto la sua guerra di “resistenza” contro la Russia alle aziende europee sarebbero spettati lauti contratti.
Dopo la Conferenza internazionale per la ripresa dell’Ucraina tenutasi il 4 e 5 luglio 2022 a Lugano, i leader di 40 Stati hanno firmato la dichiarazione sui principi per la ricostruzione del Paese, un impegno che secondo Kiev vale 750 miliardi di dollari. Il piano è diviso in 850 progetti e verrebbe realizzato nei prossimi dieci anni. Dopo una fase di stabilizzazione, è prevista la ricostruzione infrastrutturale del Paese e un riordino istituzionale basato sugli standard europei. Il grosso dei finanziamenti dovrebbe derivare dai beni confiscati agli oligarchi russi “che sono stimati tra i 300 e i 500 miliardi di dollari”, mentre altri fondi arriverebbero dai prestiti agevolati delle organizzazioni finanziarie internazionali, dai Paesi amici e dagli investimenti del settore privato ucraino.

Proiettando una mappa dell’Ucraina, il Primo Ministro Shmyhal ha indicato le aree che verrebbero date “in adozione” ai vari Stati, includendo anche le regioni attualmente sotto occupazione russa.
Secondo tale previsione, all’Italia, insieme alla Polonia, toccherebbe proprio la gestione di una delle aree più colpite dalla guerra, saldamente sotto il controllo dei ribelli filorussi e annessa giuridicamente alla Federazione Russa: l’Oblast di Donetsk. Stati Uniti e Turchia, invece, si dovrebbero occupare della regione di Kharkov, attualmente contesa e parzialmente controllata dalle  truppe di Mosca, mentre ai nuovi membri NATO, Finlandia e Svezia, con la partecipazione della Repubblica Ceca, toccherebbe ricostruire il Lugansk, totalmente governato dalla Russia.

Il Governo italiano e le stesse associazioni imprenditoriali che soltanto oggi si lamentano dei costi insostenibili dell’energia ci hanno talmente creduto da aver organizzato il 15 novembre 2022 una conferenza online dal titolo: “Rebuild Ukraine”, un grande evento virtuale “partecipato da migliaia di aziende e media italiani e ucraini, al quale hanno preso parte anche istituzioni autorevoli tra rappresentanti del Governo di Kiev e di quello di Roma, conclusosi poi con la firma di un memorandum di collaborazione tra alcune realtà portanti del settore edile dei due Paesi”. La conferenza è stata patrocinata da Unioncamere e Assocamerestero, nonché dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy e dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, che hanno considerato l’evento solo l’inizio di un lungo percorso: “A febbraio si terrà una conferenza in presenza che prevede due giorni di B2B, con tutte le varie aziende ucraine, e di B2G,
con il Governo ucraino, con le pubbliche amministrazioni ucraine. […] Il terzo passaggio prevede proprio la costituzione di un organismo in loco partecipato da Camera di Commercio Italiana per l’Ucraina, FederCamere, il sistema camerale ucraino locale e le istituzioni italiane che fino ad ora ci hanno supportato” (21).

Un capolavoro di preveggenza non c’è che dire, ribadito recentemente dal Presidente di Regione, Attilio Fontana, che ha partecipato a Palazzo Lombardia, con il Vicepremier e Ministro degli Esteri
Antonio Tajani, al primo dei quattro appuntamenti di ‘On the Road to URC 2025’, iniziativa
preparatoria all’Ukraine Recovery Conference 2025, in programma a Roma il 10 e 11 luglio 2025,
organizzata dalla Farnesina insieme al Ministero dell’Economia dell’Ucraina e alla Regione, in collaborazione con ICE (Italian Trade Agency), l’agenzia per la promozione all’estero e
l’internazionalizzazione delle imprese italiane.

Una delle sessioni tematiche del convegno in programma è stata dedicata alla presentazione del progetto di Masterplan della Città di Mykolaiv, nel quadro del Programma UN4 Ukrainian Cities, e al Protocollo di Intesa, so toscritto dal Presidente Fontana e dal Governatore della regione di Zaporiyia (parzialmente controllata dalle truppe russe che gestiscono nell’oblast anche la strategica centrale nucleare di Enerdogar) Fedorov, lo scorso 27 novembre 2024. Nello specifico, tra le iniziative previste ci sono l’organizzazione di attività culturali, lo scambio di conoscenze e competenze, l’organizzazione di seminari e conferenze e, più in generale, la promozione di attività sociali congiunte nei due territori, compreso uno scambio sulle politiche attive del mercato del lavoro e sulle attività di formazione.

Fontana non ha voluto dimenticare al riguardo che “Regione Lombardia ha supportato l’Ucraina fin dalle prime fasi del conflitto, sia accogliendo 40.000 rifugiati, sia sostenendo iniziative d’emergenza e aiuto umanitario (aspetti su cui torneremo successivamente, n.d.r.). Nel 2024 la Giunta ha deliberato il sostegno a tre interventi focalizzati nell’area di Zaporiyia, mirati al ripristino di adeguate condizioni di vita per i cittadini ucraini, con particolare riferimento alle fasce fragili, e dei servizi pubblici (scolastici, sanitari, energetici) gravemente colpiti dalle conseguenze della guerra. Nei mesi successivi si sono ulteriormente rafforzate le già consolidate relazioni con l’Ambasciata d’Ucraina in Italia e si sono attivati rapporti con le autorità locali che hanno poi portato alla firma del protocollo di intesa” (22) .

Dal punto di vista ufficiale, infatti, l’Italia ha fatto finta di niente, dimenticandosi che la Russia
controlla oltre il 20% del territorio ucraino (tra cui proprio le regioni oggetto della ricostruzione da
parte dell’Italia), ribadendo almeno cinque volte pubblicamente per bocca del Presidente del
Consiglio Giorgia Meloni che “l’Italia ha scommesso sulla vittoria dell’Ucraina” 23 .
A livello nazionale, si ricorda che il 26 aprile 2023 l’Italia e l’Ucraina hanno co-organizzato a
Roma una Conferenza Bilaterale sulla Ricostruzione dell’Ucraina per discutere la tipologia di
sostegno e di collaborazione necessari alla ripresa e alla ricostruzione del Paese e si sono impegnati a uno stretto coordinamento su queste materie attraverso un rafforzamento della cooperazione bilaterale.

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