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Orcel (Unicredit): “Ai governi serve maggiore informativa sui fatti. Se no convinzioni senza base”


Il dottor Messina ha ragione, esiste un fattore nuovo nelle operazioni di fusione e acquisizione (M&A) in Europa: l’influenza degli Stati sulle operazioni di mercato è diventata molto significativa e bisogna tenerne conto”. Andrea Orcel, non fa una piega all’indomani dell’appoggio prestato dal numero uno di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, al Golden Power del governo su Unicredit-Bpm, per via del “nuovo mondo” in guerra in cui viviamo. Del resto il numero uno di Unicredit lo aveva detto non molto tempo fa che i governi hanno facoltà di mettere il naso nelle operazioni tra imprese, quello su cui non si trovava d’accordo, aveva detto, era il modus operandi.

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Dal palco del Consiglio della Fabi, però, qualcuno gli fa notare chel’unica banca bastonata dall’esecutivo Meloni è la sua, ma Orcel respinge l’immagine del perseguitato e tratteggia quella del governo disinformato o male informato. Magari da concorrenti interessati. “Credo che i governi abbiano una loro visione, l’unico tema è che questa visione secondo me dovrebbe beneficiare di una maggiore informativa dei fatti su quella che è la realtà”, dice. E poi cita: “Unicredit non presta alle piccole e medie imprese, dicono, ma noi prestiamo più degli altri” e snocciola una serie di numeri che smentiscono affermazioni come quella per cui Unicredit non sostiene le imprese, non crede nel network o addirittura non sostiene il Paese pur detenendo “più titoli di Stato nel nostro portafoglio di qualunque altra banca italiana, inclusa Intesa Sanpaolo. E siamo più piccoli”.

“Ricordo a tutti cose che di cui non si parla molto spesso, che il nostro i nostri prestiti alle piccole e medie imprese sono saliti del 40% solo nel primo trimestre, perché è chiave nella nostra strategia di crescita e abbiamo sia il capitale che la liquidità per farlo”, dice. E aggiunge: “Siamo l’unica banca che negli ultimi 3 anni ha dato 35 miliardi di sostegno a dei plafond sussidiati a tutto il paese”. Quanto alle persone, “abbiamo assunto solo in Italia 3500/4.000 persone soprattutto in network. dovremmo arrivare a oltre 5000, 5.500 nei prossimi 3 anni, quindi ringiovanimento totale”. Insomma, sintetizza, “si formano queste convinzioni basandosi su asserzioni che non hanno nessuna base. Non credo che sia una questione di Orcel, Unicredit, Monte dei Paschi o altro. Credo che i governi abbiano una certa visione che è formata anche sulla base di informazioni che arrivano da certe controparti che hanno tutto l’interesse che queste operazioni non vadano a buon fine”.

Eppure l’interesse del Paese sarebbe tutt’altro. “Se l’Unione Europea veramente converge, c’è bisogno di banche paneuropee – sottolinea – C’è bisogno di banche che possano dare le stesse condizioni e seguire le imprese nella stessa maniera sia che siano in Germania, in Italia, in Francia o in Spagna. In questo momento noi vediamo la differenza di prezzo del credito in Germania e in Italia. Perché in Germania è più basso? Perché il rating della Germania è più alto del nostro. Però se ci fosse una banca paneuropea, il costo del credito tenderebbe a omogenizzarsi. Di questi vantaggi non parla nessuno, ma noi dobbiamo arrivare lì”.

In altre parole una banca che lavora anche all’estero dovrebbe interessare al Paese e “l’Italia ha bisogno di un sistema bancario più forte. Il gioco resta aperto per tutti”. All’Europa interessa già di più. “Da un altro punto di vista, se guardiamo alle istituzioni europee, l’Unione Europea, la Banca Centrale Europea, la Commissione Europea, hanno una visione diversa perché vogliono, prima di tutto, un sistema monetario più forte – continua – Se noi guardiamo alle entità tecniche del settore bancario, le vediamo quasi tutte schierate verso un maggior consolidamento del settore bancario europeo per sostenere la trasformazione del mercato”. Parliamo di crescita e di innovazione, cose che hanno bisogno di essere finanziate. “Un sistema più forte fa un certo tipo di cose – chiosa – ma se il mercato si chiude, cosa succede? Non vi finanzio”.

Paradossalmente chi sembra pensarla come Orcel è Giampiero Maioli, il presidente del Crédit Agricole Italia, che ha in mano il 20% del Banco Bpm e non sembra intenzionato a cedere il passo a Unicredit. “Abbiamo bisogno di banche italiane in Europa, che testimonino di avere solidità in Europa – è il ragionamento – Possiamo anche arrivare ad avere due grandi banche in Italia, ma se sono solo due banche che restano in Italia, in Europa non avrebbero peso”. E aggiunge: “È incredibile il percorso qualitativo fatto dalle banche italiane, ma credo che ancora il valore delle banche italiane non sia così riconosciuto a livello europeo: oggi se paragoniamo la quota di mercato delle prime cinque banche in Italia, siamo alla media europea e siamo più concentrati che in Germania”. E probabilmente se l’Italia avesse più peso finanziario in Europa, potrebbe pesare di più anche politicamente.

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Di sicuro c’è che per Maioli “la disputa sul terzo polo è meno importante”. Mentre i primi due almeno a tavola vanno d’accordo, come precisa Orcel: “Tanto per essere chiaro, Carlo Messina e io ci sentiamo regolarmente. E ancora batte i miei sulla migliore cacio e pepe che abbia mai mangiato. Tento sempre di farmi invitare”.



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