Redazione
lavialibera
27 maggio 2025
C’è anche il rifacimento della rete idrica cittadina tra le opere coinvolte nell’inchiesta della procura di Agrigento che lo scorso 13 maggio ha disposto misure restrittive nei confronti di 13 persone tra imprenditori, loro familiari e amministratori siciliani. Tra gli indagati anche l’ex assessore regionale all’energia e ai servizi di pubblica utilità Roberto Di Mauro, dimessosi il mese scorso: avrebbe “organizzato una associazione per delinquere finalizzata al reperimento e alla distrazione a fini privati di risorse pubbliche”, si legge nel decreto di perquisizione, nel quale il nome del politico agrigentino era stato inizialmente omesso per poi emergere negli atti successivi.
“Terra bruciata”: la nostra inchiesta sulla Sicilia delle emergenze
Le accuse sono turbativa d’asta, peculato, corruzione e concussione: un sistema per spartirsi gli appalti basato sulla “proprietà di imprese compiacenti” e su una “capillare opera di corruzione e di condizionamento di progettisti, pubblici funzionari, dirigenti di enti locali, assessorati e di organismi d’ambito territoriale”. L’obiettivo: “controllare in modo stabile e perdurante ogni risorsa economica che arrivi dai molteplici e canali di finanziamenti pubblici, anche europei sul territorio agrigentino e non solo”.
Rete idrica di Agrigento, le ombre sui lavori appena partiti
Gli inquirenti descrivono un sistema per spartirsi gli appalti basato sulla “proprietà di imprese compiacenti” e su una “capillare opera di corruzione e di condizionamento di progettisti, pubblici funzionari, dirigenti di enti locali, assessorati e di organismi d’ambito territoriale”
Tra gli appalti sotto inchiesta figurano interventi su strade, reti fognarie, impianti di trattamento dei rifiuti e strutture pubbliche, come lo stadio di Licata. Ma l’opera più importante è il rifacimento della rete idrica di Agrigento, di cui abbiamo scritto nell’ultimo numero “Terra bruciata”: un intervento da 37 milioni di euro, finanziato nel 2015 ma mai partito, in una città dove il razionamento è permanente e più della metà dell’acqua immessa in rete viene dispersa. Secondo gli inquirenti, l’imprenditore e sindaco di Maletto (Catania) Giuseppe Capizzi avrebbe costituito un consorzio per partecipare alla gara e presentato “un’offerta economica con ribasso di oltre il 30 per cento, inidonea ad assicurare la concreta esecuzione dei lavori e senza in realtà avere i requisiti economici e di organizzazione aziendale” per portarli a termine. Nonostante ciò, il consorzio si è aggiudicato l’appalto – si legge nel decreto della Procura – “con la complicità dell’Alesci (Sebastiano, ex capo ufficio tecnico di Licata, ndr) e di altri pubblici funzionari agrigentini”. Dopo anni di ritardi, i lavori sono partiti lo scorso 11 aprile alla presenza del presidente della Regione Renato Schifani il quale, dopo gli arresti, ha istituito una commissione tecnica per “garantire un monitoraggio costante dell’opera”.
Agrigento, l’acqua perduta tra malagestione e criminalità
Non è la prima volta che la gestione dell’acqua ad Agrigento finisce sotto la lente della magistratura: lo scorso febbraio ha preso avvio il processo nato dall’inchiesta “Waterloo” su Girgenti Acque, la società privata che ha gestito il servizio idrico nella provincia fino al 2021, quando è fallita ed è stata rimpiazzata dal consorzio pubblico Aica (Azienda idrica dei comuni agrigentini). L’imputato chiave è Marco Campione, imprenditore ed ex presidente della società, che avrebbe distribuito posti di lavoro tra politici, professionisti e uomini delle istituzioni in cambio di favori.
Il pm Di Leo: “Con il limite alle intercettazioni e l’abolizione abuso d’ufficio rischio impunità”
A coordinare l’inchiesta sugli appalti, che “dura da circa un anno e non è finita”, è il procuratore di Agrigento Giovanni Di Leo, che il 24 maggio ha diffuso un comunicato per denunciare gli ostacoli al lavoro di investigazione dovuti alle recenti riforme in tema di giustizia: “Indagini della complessità di quella in esame non possono essere contenute nei termini indicati dal legislatore per le intercettazioni – si legge, con riferimento alla legge, approvata lo scorso marzo, che fissa a 45 giorni il tempo massimo in cui gli inquirenti possono captare conversazioni private ai fini delle indagini –. I tempi di una attività amministrativa complessa sono di norma assai più lunghi e in ogni momento possono inserirsi in essa fenomeni devianti dal buon andamento della pubblica amministrazione. Le intercettazioni sono e restano, pertanto, uno strumento indispensabile per l’accertamento di reati dove non è pensabile che il corrotto o il corruttore si presenti spontaneamente a denunziare i fatti che lo coinvolgono o che un terzo possa venirne a conoscenza”. A questo si aggiunge l’abolizione dell’abuso di ufficio che, scrive Di Leo, ha reso “ulteriormente più gravoso l’obbligo dell’ufficio requirente o del personale di polizia giudiziaria di reprimere detti fenomeni”.
“Gli attuali controlli amministrativi esistenti, già in parte depotenziati, non appaiono sufficienti a garantire sprechi e ruberie. Il quadro normativo attuale sembra pertanto volgere a una richiesta di sostanziale impunità”Giovanni Di Leo – Procuratore di Agrigento
La conclusione del pm è durissima: “Gli attuali controlli amministrativi esistenti, già in parte depotenziati, non appaiono sufficienti a garantire sprechi e ruberie. Il quadro normativo attuale sembra pertanto volgere a una richiesta di sostanziale impunità” per i reati legati alla corruzione. Infine, l’invito alla “collaborazione di chi, imprenditore, politico, amministratore, professionista, sa e ha finora taciuto, almeno in nome di quella cultura di cui Agrigento è quest’anno capitale italiana e in cui dovrebbe rientrare anche il senso civico”.
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