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Vogliono assumere, ma non trovano nessuno: il paradosso delle piccole imprese italiane


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Assumere è il nuovo miraggio: metà delle piccole imprese cerca personale, ma il mercato risponde picche.

Nel secondo semestre del 2025, una piccola impresa su due ha in programma nuove assunzioni. Peccato che, per molte, sia più facile trovare un ago in un pagliaio che un lavoratore qualificato. L’indagine della CNA che ha interpellato oltre 2.000 tra artigiani e microimprese, fotografa un Paese dove la voglia di crescere si scontra frontalmente con un mercato del lavoro che non sa far incontrare chi offre con chi cerca. Un cortocircuito che suona tanto più assurdo quanto più cronico.

Quattro anni e nulla è cambiato: stesso problema, meno crescita

Sconcertante, ma vero: i risultati del sondaggio non si discostano molto da quelli del 2021, quando l’Italia usciva dalla prima ondata pandemica e il PIL sfiorava un esaltante +9%. Oggi, con un’economia praticamente in stallo (si prevede un misero +1%), la domanda di lavoratori resta alta. Segno che non è la congiuntura a spingere le imprese ad assumere, ma un bisogno strutturale.

Il lavoro c’è, i lavoratori no: i settori più “affamati” di personale

Costruzioni in testa, seguite da manifattura e servizi: è questo il podio dei settori con più fame di manodopera. In edilizia, il 54,5% delle imprese cerca nuovi operai, mentre nell’installazione di impianti si sale addirittura al 59,2%. Segno che tra superbonus, transizione energetica e manutenzioni impellenti, i cantieri non conoscono tregua.

Nel mondo manifatturiero brillano meccanica e sistema moda, due capisaldi del “Made in Italy” che nonostante guerre commerciali e crisi internazionali, mantengono viva la tradizione del saper fare. Il 56% delle imprese meccaniche e il 52,8% di quelle nel tessile vogliono assumere. Si parla in particolare di elettricisti, carpentieri, tagliatori, confezionisti, falegnami, montatori di arredi: tutta manodopera altamente specializzata, tutta introvabile. Neanche nei servizi va meglio. La ristorazione cerca cuochi, aiuto cuochi e camerieri come il pane. Trasporti e logistica chiedono a gran voce autisti. Autoriparazioni e carrozzerie inseguono meccatronici e carrozzieri. Acconciatori e operatori estetici sono merce rara. E qui arriva il paradosso. L’Italia ha milioni di disoccupati, eppure chi cerca un lavoro non trova un datore di lavoro e viceversa.

Quando il passaparola batte lo Stato: le imprese si arrangiano da sole

Nel 2025, le aziende italiane cercano ancora lavoratori come si faceva cinquant’anni fa: con il passaparola:

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  • Il 42,1% delle imprese si affida al tam tam personale;
  • Agenzie private (21,5%) e annunci (15,1%) seguono;
  • Solo il 10,7% si rivolge al mondo della formazione. I centri per l’impiego toccano un misero 6,8%.

Il grande bluff del sistema lavoro: chi forma, chi orienta, chi risponde?

Il dramma è che a non funzionare non è solo il mercato, ma l’intero sistema. La scuola non forma, i centri per l’impiego non orientano e il mondo del lavoro resta isolato come un arcipelago. Le imprese lanciano segnali, ma nessuno li raccoglie. Intanto, le opportunità si perdono, i giovani si scoraggiano, e l’Italia continua a vivere il più assurdo dei paradossi: cercasi lavoro, ma anche lavoratori. Entrambi introvabili. In un Paese che continua a dibattere di redditi minimi, pensioni anticipate e smart working, nessuno sembra voler parlare del vero nodo: la disconnessione cronica tra istruzione, formazione e impresa. Un’Italia che non sa fare matching è un’Italia che si autocondanna all’immobilismo. E questa, più che una crisi, è una miopia sistemica.



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