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La rivoluzione della transizione ecologica prosegue in tutto il mondo, ma il problema fondamentale – oggi, in Italia e non solo – diventa quello della sua “sostenibilità politica”, legata al gradimento delle imprese e dei cittadini. A tal fine diventa fondamentale, se guardiamo alla questione dal lato dei cittadini, non utilizzare per la “cura” politiche che agiscono come “farmaci” con pesanti effetti collaterali producendo impatti distributivi regressivi che pongono l’onere della transizione sui ceti più deboli. Sul fronte delle tecnologie e dei mercati l’Agenzia Internazionale delle fonti rinnovabili (Irena) calcola che lo scorso anno la stragrande maggioranza dell’energia dei nuovi impianti di produzione installati nel mondo (il 94%) è da fonti rinnovabili. È un dato difficilmente comprensibile se non abbiamo una visione globale di una trasformazione profonda che sta accadendo da tutte le parti del mondo (Paesi poveri ed emergenti inclusi). Con il progresso tecnologico e le economie di scala i prezzi di produzione delle celle fotovoltaiche e delle batterie continuano a calare (dai 100 dollari del 1975 ai meno di 10 decimi di dollaro del 2024 necessari per produrre un watt di energia da fotovoltaico) e la crescita della produzione da questa fonte di energia continua sistematicamente a battere al rialzo le aspettative di crescita dell’Agenzia internazionale per l’energia. Quando si analizza il rapporto tra dimensione sociale ed ambientale, la prima cosa da dire è che i costi della “non transizione” ricadono maggiormente sui più deboli – semplicemente perché hanno meno risorse per proteggersi dai suoi effetti negativi.

In Italia, lo scorso anno, il settore agricolo – colpito dagli effetti climatici del riscaldamento globale – ha perso il 6% circa di valore aggiunto a fronte di un’economia che nel suo complesso è cresciuta. Il rischio idrogeologico in alcune regioni produce ormai danni significativi e costringe a spese di assicurazione rilevanti cittadini e imprese. L’Italia, per la sua dipendenza dalle fonti fossili, paga il costo dell’energia più alto tra i Paesi Ue, e questo incide soprattutto sui più poveri, dove l’energia pesa molto di più. Se è vero, dunque, che la non transizione – o la lentezza della transizione – colpisce soprattutto i più deboli (come ricordava peraltro Climate Justice, una campagna di Caritas Internazionale di qualche tempo fa), le politiche per favorire la transizione vanno necessariamente realizzate in modo da non pesare di per sé sui ceti più deboli. Un lavoro recente di ricercatori dell’Iza stima che se si sceglie la via della tassazione delle fonti fossili il risultato è fortemente regressivo. E questo spiega la difficoltà, oltre gli slogan e le parole, di eliminare i cosiddetti sussidi ambientalmente dannosi che in Italia rappresentano altrettante agevolazioni per categorie come pescatori, agricoltori, autotrasportatori e possessori di auto diesel. Disponiamo per fortuna oggi, per restare nella metafora, di una varietà di farmaci “meno pesanti” molto ricca e in grado di controllare ed evitare effetti collaterali negativi. Le comunità energetiche rinnovabili hanno molto spesso nei loro obiettivi sociali la destinazione dei proventi al contrasto della povertà energetica. Una direzione strategica per il futuro sta nel condividere con i cittadini i benefici del minor costo delle rinnovabili. Non sempre però questi benefici arrivano a cittadini e imprese.

Può accadere nel caso delle prime app in circolazione con le quali i fornitori di energia segnalano a chi ha contratti con loro di consumare energia (usare gli elettrodomestici o caricare auto elettriche) nei momenti della giornata in cui i prezzi sono zero nei quali le stesse ci cedono parte dei benefici del prezzo basso o nullo. Le opportunità saranno maggiori quando lo standard Vehicle-to-Grid col quale le auto elettriche possono vendere energia alla rete si diffonderà. Preziosi da questo punto di vista ancora i progetti di azionariato popolare nell’investimento in grandi impianti di produzione già utilizzati in tante regioni del mondo (Puglia, Scozia, Paesi poveri ed emergenti). La partita più importante che si sta giocando sul fronte della transizione ecologica non è certo quella tecnologica, ma quella sociale e politica. La transizione è un’occasione straordinaria per ridurre o eliminare la nostra dipendenza da Paesi stranieri in un settore così strategico come quello dell’energia (e con essa rischi di inflazioni future) nonché per passare ad un modello di produzione di energia molto più distribuito, partecipato dal basso in cui i vantaggi sono equamente condivisi tra grandi imprese del settore, imprese utilizzatrici e cittadini.





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