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Il Pnrr fa il tagliando, tra passi falsi e risultati. La parola al Governo e alla Corte dei conti


La sesta relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, curata dal ministero per gli Affari europei, presenta un quadro rassicurante sullo stato dell’arte del Piano nazionale di resilienza e rilancio. Meno rassicurante, ma più pratico, il resoconto che Corte dei conti ha stilato uso delle risorse finanzarie messe a disposizione dall’Unione europea.

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Il giudizio del Governo

L’Italia, secondo quanto di legge nel documento, avrebbe rispettato tutte le scadenze previste fino a oggi, centrando 270 tra milestone e target su 621 totali, pari al 43%. Un risultato che ha consentito al Paese di incassare finora 122,2 miliardi di euro, ovvero il 62,8% dell’intero ammontare del Piano. Anche sul fronte dell’attivazione delle risorse – cioè i cosiddetti “Pratt” – il Governo rivendica una forte accelerazione: al 31 dicembre 2024, oltre il 92% dei fondi risulta programmato. I 14,9 miliardi ancora da attivare riguardano in gran parte misure riviste o con risorse previste a lungo termine, come le borse di studio.

Nella lettura dell’esecutivo, il Pnrr avrebbe già avuto un impatto concreto: oltre 164 mila progetti sono conclusi o in fase di chiusura (il 60,86% del totale), mentre circa 94 mila sono in piena esecuzione. Quest’ultima categoria, pur rappresentando il 34,9% dei progetti, assorbe più del 61% delle risorse. Ciò evidenzia, secondo il Governo, che gli interventi più costosi sono ancora in corso, specialmente quelli legati alle grandi opere pubbliche.

La variabile spesa: l’anello debole

Tuttavia, i dati sulla spesa mostrano un’altra realtà. Al 31 dicembre 2024, le amministrazioni hanno rendicontato spese per circa 64 miliardi, pari al 35,6% del valore delle misure attivate. Alcune aree risultano particolarmente indietro: la Missione 5, dedicata a lavoro e inclusione sociale, e la Missione 6, sulla sanità territoriale, faticano ad attuare progetti chiave. Il programma GOL, ad esempio, ha utilizzato meno del 7% delle risorse assegnate, mentre la realizzazione delle Case di comunità si è scontrata con numerose difficoltà operative.

La relazione governativa ammette la criticità, ma tende a ridimensionarla, ribadendo l’importanza di monitorare con più rigore e di caricare tempestivamente i dati sulla piattaforma Regis. La spesa, pur non essendo un requisito per l’erogazione delle tranche, resta però fondamentale per misurare l’impatto reale del Piano sull’economia.

Il giudizio della Corte dei conti

Di tono decisamente più critico è il rapporto della Corte dei conti, che analizza l’andamento di 34 investimenti nel secondo semestre 2024. Pur riconoscendo un aumento dei pagamenti, la Corte sottolinea come il ritmo sia ancora troppo lento per garantire il pieno utilizzo dei fondi entro la scadenza europea del 2026.

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Il punto più critico riguarda la sostenibilità nel lungo periodo. Gli enti locali, secondo quanto emerso dalle verifiche, temono di ritrovarsi, una volta concluso il Pnrr, con strutture nuove ma senza risorse per gestirle: né fondi, né personale. Il rischio è che molti servizi avviati con il Piano finiscano per essere abbandonati o ridimensionati, in assenza di un nuovo intervento straordinario.

Anche la rendicontazione è un nodo irrisolto. I giudici contabili denunciano una frammentazione eccessiva: troppi soggetti coinvolti, richieste spezzettate e documentazione spesso incompleta. Tutto questo rallenta i controlli e mette sotto pressione le strutture amministrative, già alle prese con una carenza cronica di personale.

Risultati da difendere, rischi da affrontare

In controluce, i due documenti raccontano la stessa storia da prospettive diverse. Il Governo si concentra sugli obiettivi raggiunti, sul rispetto delle scadenze e su una narrazione positiva che punta a rafforzare la credibilità del sistema-Pnrr. La Corte dei conti, invece, guarda sotto la superficie e lancia l’allarme: i fondi sono tanti, ma spenderli bene – e in tempo – è tutta un’altra sfida.

Alla base delle divergenze c’è un dato di fondo: il Pnrr è stato pensato come strumento di rilancio e modernizzazione, ma rischia di scontrarsi con i limiti cronici del sistema amministrativo italiano. La vera scommessa non è solo arrivare al traguardo del 2026, ma riuscire a rendere duraturi i risultati ottenuti. E per farlo, probabilmente, non basterà una proroga: servirà un cambio di passo.



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