La start-up Climeworks si proponeva di catturare il CO₂. Valutata rapidamente 1 miliardo di dollari, è stata imitata da molti altri. Questa tecnologia – scrive Le Monde – non ha mantenuto le promesse e oggi molte aziende e privati potrebbero sentirsi ingannati, osserva Jean-Baptiste Fressoz nella sua rubrica,
Nel 2017 Zurigo è diventata il punto di ritrovo del jet-set climatico. Giornalisti, attivisti e investitori vi si sono precipitati, non per ammirare le tranquille rive del lago o le dimore lussuose della città, ma per contemplare gli enormi ventilatori installati dalla start-up Climeworks sul tetto di un inceneritore di rifiuti. Anche Greta Thunberg ha fatto il viaggio. All’epoca, l’azienda si presentava come la vetrina tecnologica della cattura del carbonio. I suoi fondatori, Christoph Gebald e Jan Wurzbacher, accoglievano i visitatori, mostrando loro un dispositivo in cui potenti ventilatori aspiravano l’aria ambiente per farla passare attraverso una sostanza assorbente dalla composizione segreta, incaricata di intrappolare la CO₂.
Il gas così catturato veniva poi reindirizzato verso una serra dove venivano coltivati cetrioli. I due ingegneri affermavano di poter catturare e immagazzinare l’1% delle emissioni mondiali entro il 2025, ovvero circa 400 milioni di tonnellate di CO₂ all’anno. L’annuncio fece scalpore. Gli articoli fiorirono, i capitali affluirono. Nel 2021, Climeworks ha inaugurato un impianto su scala più ampia in Islanda, alimentato da energia geotermica. Questa volta, la CO₂ non veniva più utilizzata per coltivare ortaggi, ma iniettata nel sottosuolo per essere mineralizzata, generando così “emissioni negative”. Nel 2022, la start-up ha raggiunto una valutazione superiore a 1 miliardo di dollari (circa 890 milioni di euro).
Un quarto dell’energia mondiale
La strada aperta da Climeworks è stata seguita da numerose altre start-up – Carbon Engineering, Global Thermostat, Rewind, Terraformation, Living Carbon, Charm Industrial, Brilliant Planet, Planetary Technologies, Infinitree… solo per citarne alcune. Oggi sono più di 150, con nomi altisonanti per aziende che emettono più carbonio di quanto ne eliminano.
A questa lista si aggiungono le aziende specializzate nella “certificazione” delle emissioni negative – Puro. earth, Agoro Carbon Alliance, Riverse – il cui ruolo è quello di convalidare crediti di carbonio tanto discutibili quanto i processi che li sottendono […]
Il problema delle emissioni negative è di natura termodinamica. Questa constatazione non è affatto nuova. Già nel 2015, uno studio pubblicato su Nature ricordava che la cattura di CO₂ direttamente dall’aria, per passare a una scala più ampia, dovrebbe consumare quantità colossali di energia – più di un quarto dell’energia mondiale – per un unico compito: aspirare il carbonio dall’atmosfera. Nel 2019, l’analisi del ciclo di vita di una centrale a carbone americana dotata di dispositivi di cattura ha dimostrato che questi consentivano di eliminare solo il 10,8% delle emissioni. Il tutto a costo di un notevole inquinamento legato all’uso di solventi per catturare la CO₂.
Domande fondamentali
Climeworks si trova ad affrontare le stesse difficoltà. Nel 2024, lungi dal catturare l’1% delle emissioni globali, l’azienda è riuscita a estrarre solo 105 tonnellate di CO₂ dall’atmosfera. Sul suo sito web, l’azienda riconosce di non riuscire nemmeno a compensare le proprie emissioni, stimate in 1.700 tonnellate di CO₂ all’anno, senza contare i viaggi della stampa. Invece delle 400 milioni di tonnellate di emissioni negative, Climeworks annuncia ora di voler diventare la prima azienda a emissioni negative a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2030.
Il fallimento di Climeworks solleva una serie di questioni fondamentali. La prima riguarda la credibilità dei percorsi di neutralità carbonica, che troppo spesso si basano su tecniche inesistenti. La seconda riguarda le finanze pubbliche: è legittimo sovvenzionare start-up le cui promesse sono sistematicamente smentite dai fatti? La terza questione è di natura giuridica. Climeworks ha già venduto in anticipo crediti di carbonio pari a diverse decine di migliaia di tonnellate a decine di aziende, tra cui Microsoft, J.P. Morgan, Swiss Re, TikTok, British Airways, nonché a 21.000 privati desiderosi di compensare la propria impronta di carbonio. Molti potrebbero ritenersi truffati e valutare la possibilità di ricorrere alle vie legali. Il business delle emissioni negative sta iniziando ad assomigliare a una piramide di Ponzi, con il clima come vittima
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