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Fondi (meno) sostenibili? Così l’ESG scompare dalle etichette, ma non sempre dalle strategie


Dal 21 maggio 2025 è entrata in vigore la stretta dell’ESMA sull’uso di termini ESG nei nomi dei fondi. Decine di società, da Etica Sgr a BlackRock, hanno modificato le denominazioni dei propri prodotti. Una questione di trasparenza, non di retrocessione della sostenibilità.

La parola “sostenibile” non basta più. A stabilirlo è l’ESMA, l’autorità europea che vigila sui mercati finanziari, che ha introdotto regole più severe per l’uso di termini come “ESG”, “verde” o “sociale” nei nomi dei fondi comuni di investimento. Una svolta normativa entrata in vigore lo scorso 21 maggio, che ha già avuto effetti visibili sul mercato: molte società di gestione hanno modificato la denominazione dei propri fondi per evitare il rischio di incorrere in sanzioni o di essere accusate di comunicazioni fuorvianti. L’obiettivo delle nuove linee guida è chiaro: contrastare il greenwashing e aumentare la trasparenza verso gli investitori. 

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Perché un fondo possa chiamarsi “ESG” o “sostenibile”, almeno l’80% degli attivi deve essere realmente investito in strumenti che rispecchiano caratteristiche ambientali o sociali. Inoltre, per mantenere il termine “sostenibile”, deve essere dimostrata una quota significativa di investimenti allineati alla Tassonomia europea o che perseguano obiettivi analoghi. Questo approccio rigoroso ha costretto molte realtà a rivedere la propria comunicazione.

In Italia, Etica Sgr ha scelto di rinominare il fondo “Etica Impatto Clima” in “Etica Transizione Climatica”, sottolineando così la coerenza tra la strategia del fondo e gli obblighi regolatori. Il cambiamento, pur essendo formale, riflette una maggiore attenzione alla precisione terminologica richiesta dalle nuove disposizioni. A livello internazionale, uno dei casi più rilevanti è quello di BlackRock, che ha aggiornato i nomi di diversi suoi fondi globali. Tra questi, il “Sustainable Emerging Markets Bond Fund” è diventato “ESG Emerging Markets Bond Fund”, mentre altri prodotti hanno eliminato completamente ogni riferimento alla sostenibilità. 

Secondo i dati pubblicati da Morningstar, in Europa quasi novecento fondi hanno già cambiato nome: la maggior parte ha rimosso termini ESG, mentre altri li hanno sostituiti con espressioni più neutre o più tecniche, come “transizione” o “climatico”. Il fenomeno delle ridenominazioni, sebbene possa apparire come una retromarcia rispetto alla comunicazione ESG degli anni precedenti, rappresenta invece un passaggio verso una maggiore coerenza tra parole e contenuti. In passato, molti fondi utilizzavano termini legati alla sostenibilità senza un reale ancoraggio a criteri d’investimento solidi. Oggi, le nuove regole impongono un allineamento concreto tra ciò che si dichiara e ciò che si fa.

Per gli investitori, la novità implica la necessità di andare oltre l’etichetta. Non è più sufficiente affidarsi al nome del fondo per giudicarne il profilo ambientale o sociale: è necessario leggere la documentazione, analizzare le scelte di portafoglio, comprendere le metodologie utilizzate per selezionare gli investimenti. Per le imprese, invece, il messaggio è ancora più netto: solo chi saprà documentare e rendicontare in modo rigoroso la propria strategia ESG continuerà a essere considerato investibile in un contesto regolato da standard elevati.





Se la parola “sostenibilità” sta scomparendo dai titoli, non è per sfiducia. Al contrario, è il segno che la finanza sostenibile sta entrando in una nuova fase: meno retorica, più sostanza. Una fase in cui la credibilità si costruisce, anche, scegliendo con attenzione ogni parola. A partire dal nome.



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