Il golden power, cioè i poteri speciali del governo a presidio della sicurezza e difesa nazionale, sono ritornati alla ribalta in occasione dell’offerta di scambio azionario di Unicredit su Banco Bpm. Il provvedimento impone una serie di condizioni che, a quanto si sa, spaziano dalla cessazione delle attività di Unicredit in Russia entro nove mesi, alla conservazione per cinque anni della quota attuale degli investimenti di Anima Holding in titoli italiani, al mantenimento per cinque anni del rapporto impieghi-depositi praticato dai due istituti di credito. Si tratta di vincoli che incidono in profondità nel diritto di impresa.
La reazione di Unicredit non si è fatta attendere e potrebbe sfociare anche in un ricorso al Tar nel caso in cui i contatti di questi giorni con il governo non portino a una revisione del provvedimento. Nelle more la banca ha chiesto alla Consob di sospendere l’offerta su Banco Bpm.
Al di là di questa vicenda dagli esiti ancora incerti la normativa sul golden power è da tempo oggetto di critiche. Introdotto in Italia nel 2012 (decreto legge 21/2012) il golden power è stato potenziato in seguito alla pandemia e alla crisi ucraina. Il suo campo di applicazione è stato esteso a settori come le tecnologie 5G e cloud, l’idroelettrico, l’agro-alimentare, nonché il credito e le assicurazioni. Vi rientrano anche le acquisizioni di società italiane da parte di società di Stati membri dell’Unione Europea.
I casi di veto
Inizialmente, il golden power era stato invece pensato a presidio della sicurezza e difesa in relazione a investimenti diretti o indiretti provenienti da imprese sotto l’influenza di Stati antagonisti. Un caso di esercizio del golden power in relazione a investimenti cinesi è stato nel 2023 l’imposizione di restrizioni nell’assetto societario di Pirelli alle prerogative del socio cinese (China National Tire and Rubber Corporation del gruppo Sinochem). Si tratta peraltro di un socio divenuto scomodo a causa delle restrizioni imposte negli Stati Uniti che vietano la vendita di hardware e software che provengano da società con legami cinesi.
Un caso del 2021 ha riguardato una società sotto il controllo cinese (Syngenta) nei cui confronti il governo italiano ha opposto il veto all’acquisizione di Verisem operante nel settore delle sementi. Il veto per motivi di sicurezza alimentare è stato impugnato prima al Tar e poi appellato in Consiglio di Stato che nel respingere il ricorso ha chiarito il carattere ampiamente discrezionale (quasi politico) dei poteri del governo e pertanto difficilmente sindacabili.
Ed è proprio questo uno dei punti dolenti, non solo perché le imprese oggetto di misure restrittive difficilmente possono trovare «un giudice a Berlino», ma soprattutto per l’incertezza circa l’esito delle decisioni del governo.
Gli usi «potenzialmente distorti»
Un position paper di Assonime dello scorso anno (n. 6/2024) propone di prevedere «parametri meno vaghi, ampi e incerti» e l’obbligo di rendere consultabili le operazioni notificate. Lo scorso novembre in un convegno di Mediobanca sul golden power è stata stigmatizzata «l’ispirazione autarchica o dettata dal sovranismo economico» della normativa italiana (Sabino Cassese) che presenta una serie di contraddizioni.
Infatti, da un lato il golden power mira a tenere sotto controllo gli investimenti stranieri, dall’altro scoraggia iniziative utili allo sviluppo economico del nostro Paese e danneggia la proiezione internazionale dell’industria nazionale. Inoltre, per quanto l’unico scopo è tutelare la sicurezza nazionale, il golden power si presta ad usi potenzialmente distorti, addirittura per consentire allo Stato di realizzare le proprie politiche industriali (Francesco Vella su Lavoce.info).
Sta di fatto però che quasi tutti i 28 Paesi dell’Ocse e tutti gli Stati membri dell’Unione europea hanno adottato questo tipo di disciplina che ha anche una copertura europea. Infatti il Regolamento Ue 2019/452 prevede un coordinamento tra la Commissione Europea e gli Stati membri per il monitoraggio degli investimenti esteri nell’Unione Europea.
Non solo; la prospettiva è ora anche quella del controllo sugli investimenti esteri da parte di imprese di Stati membri (cosiddetti outbound investments) sulla scia di quanto già fanno per esempio Cina e Giappone. Il golden power è dunque destinato a restare. Del resto nell’attuale fase storica le tensioni geopolitiche e la spinta alla deglobalizzazione giustificano queste e altre misure protettive.
*ordinario
di Diritto Amministrativo
Sapienza Università di Roma
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