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Opinioni | Ripartire dai dati (giusti)


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La prossima legge di Bilancio sarà la penultima di questa legislatura e i dati economici sui quali dovrà essere costruita non sono confortanti. Per scrivere una buona legge di Bilancio bisogna innanzitutto saper leggere correttamente i dati che giungono dall’economia: non basta la riduzione dello spread fra i titoli italiani e tedeschi, in gran parte dovuta alla cancellazione da parte del nuovo governo di Berlino del «freno al debito», a dare una diversa prospettiva. L’Italia ha un problema che sovrasta tutti gli altri, persino l’alto debito pubblico: la scarsa produttività della nostra economia. Essa genera bassa crescita e bassi salari, un tema che finora questo governo ha totalmente tralasciato

La produttività dipende dalla qualità del capitale umano, che si forma nelle scuole prima che nelle università, e dagli investimenti delle imprese. Cominciamo dalla scuola. Le circolari del ministro Valditara sembrano inseguire le richieste di tanti genitori preoccupati soprattutto che i programmi scolastici dei loro figli non interferiscano con i weekend della famiglia: «Evitare che più verifiche vengano svolte nello stesso giorno, con un carico di lavoro troppo gravoso per gli studenti; distribuire i compiti per casa equamente nel corso della settimana, con una migliore organizzazione dello studio, soprattutto in concomitanza delle giornate festive; rafforzare sempre più la positiva collaborazione fra famiglia e scuola» (Circolare alle scuole del 28 aprile scorso). Siamo lontani da un progetto il cui obiettivo è la qualità del capitale umano.




















































Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, ottimo conoscitore del mondo della scuola, individua tre fallimenti: insegnanti poco pagati, ai quali lo Stato chiede poco lavoro e promette scarsi controlli, assenza di incentivi, fallimento delle procedure di assunzione. Gli stipendi degli insegnanti italiani sono bassi, anche in relazione ad altri Paesi europei, la progressione retributiva dipende solo dall’anzianità, il tempo dedicato alla scuola, al di là delle ore di lezione in classe, è lasciato alla buona volontà degli insegnanti, infine la tolleranza dei permessi di assenza dal lavoro consente la diffusione dell’assenteismo. Da qualche anno il progetto «Scuola in chiaro» del ministero (un esempio di quanto sia importante disporre di buoni dati per prendere buone decisioni) rende disponibili i dati delle assenze (per malattia, maternità e altri motivi) degli insegnanti a livello di singola scuola. Adriana Di Liberto e Marco Sideri scrivendo su lavoce.info il 5 maggio scorso forniscono qualche indizio sull’esistenza di un legame tra le assenze dei docenti e i risultati degli studenti. Questi dati mostrano che le province in cui i tassi di assenza per malattia dei docenti sono più elevati, sono anche quelle in cui il fenomeno dell’abbandono scolastico è più diffuso.

Infine i criteri di assunzione. Il governo ha varato un nuovo criterio per l’assunzione degli insegnanti basato sulla formazione e su un esame di abilitazione che dovrebbero garantire la qualità dei nuovi docenti. Il cardine del meccanismo è la formazione: se i futuri insegnanti sono ben formati e motivati, il meccanismo di assunzione diventa quasi secondario. La formazione degli insegnanti è stata di fatto delegata alle università telematiche. Queste lo scorso anno avevano raggiunto 274.000 iscritti, un quinto di tutti gli iscritti agli atenei pubblici. Una crescita abnorme dovuta agli enormi profitti che queste università generano (e infatti molte sono di proprietà di fondi esteri) e alla totale mancanza di controllo da parte dello Stato

Una scelta coraggiosa, peraltro non incompatibile con il dettato costituzionale, sarebbe consentire alle scuole di scegliere i propri insegnanti: sono le scuole stesse che conoscono le proprie esigenze e le proprie necessità e che hanno l’incentivo ad assumere bravi insegnanti. Un meccanismo che dovrebbe essere affiancato da un’attenta valutazione del lavoro dei dirigenti scolastici, tenendo conto anche dei risultati degli studenti.

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Le imprese. Le ultime tre leggi di bilancio hanno sottratto alle imprese circa 15 miliardi di euro, restituendone 6, o 7, ma con misure che, diversamente da quanto accadeva per le norme di Industria 4.0, non sembrano funzionare: lo ha illustrato il prof Marco Leonardi con un’attenta analisi pubblicata dal Foglio in due puntate: 13 marzo 2025 e 24 luglio 2024. Su 6,3 miliardi di euro stanziati per gli incentivi di Industria 5.0, al 15 maggio scorso le imprese ne avevano prenotati 852 milioni, il 14%, e spesi 36, quasi nulla. Un bilancio severamente negativo, tanto è vero che nella revisione del Pnrr questo intervento potrebbe essere cancellato. «Combinati con la crisi del settore dell’automobile e dell’acciaio, e di fronte alla minaccia dei dazi di Trump, queste misure — scrive Leonardi — rischiano di mettere a repentaglio il modello di crescita degli ultimi vent’anni». Nel 2023 era stato cancellato l’Ace, un incentivo che favoriva gli aumenti di capitale: stima l’Istat che l’Ace (Aiuto alla crescita economica) era utilizzato da un’impresa su quattro. I fondi per il settore automobilistico stanziati dal governo Draghi sono stati ridotti di 4,6 miliardi nel 2024, lasciando poco più di 200 milioni l’anno. Infine è stata sospesa la decontribuzione-Sud che garantiva uno sconto sui contributi previdenziali dovuti dalle imprese su tutti i contratti di lavoro, nuovi e vecchi, nelle regioni meridionali. La misura è stata sostituita da un’altra, riservata alle piccole e medie aziende e che riguarda solo i neo-assunti. Il risultato è che nel 2025 le aziende medio/grandi del Sud perdono 4 miliardi di sconti contributivi. Tutte queste misure andavano certamente aggiustate, ma cancellarle dall’oggi al domani ha inferto a molte aziende un durissimo colpo. In compenso il governo ha prorogato la deduzione del 120 per cento per le assunzioni, stanziando più di 1 miliardo l’anno. Il prof Leonardi giustamente si chiede se sia il caso di finanziare le assunzioni in un momento in cui il mercato del lavoro va così bene: non si rischia di avvantaggiare aziende che avrebbero comunque assunto?.

Poi c’è l’Ires premiale su cui Confindustria ha molto insistito. La platea potenziale è di 18.000 aziende, quelle in utile nel 2024, che potranno ridurre l’Ires dal 24 al 20 per cento per il solo esercizio 2025. Secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio la norma tuttavia «richiede una combinazione di accantonamenti, investimenti e crescita occupazionale che molte imprese potrebbero far fatica a soddisfare».

Venendo alle famiglie povere una misura chiaramente sbagliata è la «Carta dedicata a te», un sussidio che ha in piccola parte sostituito il Reddito di cittadinanza, e che comunque costa 1,7 miliardi in tre anni. È il miglior esempio di regressione delle misure contro la povertà: si passa da una misura universale gestita dall’Inps a una misura sporadica gestita dal ministero dell’Agricoltura (la scusa è che questo sussidio può solo essere utilizzato per acquistare del cibo). Se fosse una misura per ampliare il welfare, per quanto piccola dovrebbe essere permanente, invece è una concessione una tantum.

È vero che l’occupazione in questi anni è aumentata, e che il numero dei contratti a tempo indeterminato e in generale delle ore lavorate, è salito. Ma questa non è necessariamente una buona notizia. Lo sarebbe se fosse aumentata l’occupazione nell’industria e nei servizi ad alto valore aggiunto. Ma il fatto che i salari non crescano (in Italia la quota dei salari sul valore aggiunto totale è diminuita di un punto, l’opposto di quanto è avvenuto in Francia e Spagna) suggerisce che i servizi che crescono non sono quelli che aumentano la produttività: cresce la logistica di Amazon, non Google Deep Mind. Amazon impiega in Italia circa 20.000 lavoratori pagando agli operatori di magazzino un salario lordo di 1.876 euro mensili — per la verità l’8% in più rispetto alla retribuzione minima del contratto Logistica e Trasporti, ma un po’ meno di un’azienda del settore manifatturiero.
Per scrivere una buona Legge di bilancio è importante partire da una corretta interpretazione di tutti i dati che arrivano dall’economia, non solo quelli apparentemente confortanti.

17 maggio 2025

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