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Neanche il modello 231 salva l’ente se non è efficacemente attuato


La ripetuta violazione degli oneri manutentivi di un impianto, in presenza di conclamati indici di deterioramento, e la mancata previsione di un programma specifico di tali interventi fonda la “colpa di organizzazione” rilevante ai fini della responsabilità “231” in caso di infortunio sul lavoro. In tale ipotesi non è sufficiente nemmeno addurre l’adozione di un modello organizzativo “certificato” e la nomina di un Organismo di Vigilanza, laddove tali scelte non risultino “efficacemente attuate”.

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Per tali ragioni la sentenza n. 18410, depositata ieri dalla Cassazione, conferma la responsabilità di una spa per l’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies comma 3 del DLgs. 231/2001, in ragione delle lesioni riportate da un suo dipendente, che lo rendevano inabile al lavoro per un periodo di 60 giorni.

Come autorevolmente affermato dalla giurisprudenza, nei delitti colposi – quale quello di lesioni colpose ai sensi dell’art. 590 c.p. – l’interesse o vantaggio per l’ente, di cui all’art. 5 del DLgs. 231/2001, non deve riferirsi all’evento del reato, ma deve riguardare unicamente la condotta (Cass. SS.UU. n. 38343/2014). Il criterio di imputazione oggettiva è infatti integrato anche da un esiguo, ma oggettivamente apprezzabile, risparmio di spesa, collegato all’inosservanza, pur non sistematica, delle cautele per la prevenzione degli infortuni riguardanti un’area rilevante di rischio aziendale (cfr., tra le altre, Cass. n. 22586/2024).

Che il vantaggio per l’ente, pur apprezzabile, possa anche essere minimo, lo si ricava inoltre dal fatto che in tal caso non è esclusa la responsabilità, ma la sanzione applicabile deve essere diminuita ai sensi dell’art. 12 comma 1 lett. a) del medesimo DLgs. 231/2001.

Nel caso in esame, si affermava dunque che il mancato intervento manutentivo sulle passerelle su cui si è verificato l’infortunio aveva prodotto un risparmio di spesa che pur se non valutabile esattamente nell’ammontare, può rilevare ai sensi della responsabilità dell’ente. Le motivazioni si soffermano soprattutto sul tema – oggi più che mai molto dibattuto anche in vista della riforma in corso della disciplina “231” – della “colpa di organizzazione”.

Proprio nel caso di responsabilità degli enti ritenuta in relazione a reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, le già citate Sezioni Unite avevano precisato che questa deve intendersi in senso normativo ed è fondata sul rimprovero derivante dall’inottemperanza da parte dell’ente dell’obbligo di adottare le cautele, organizzative e gestionali, necessarie a prevenire la commissione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità del soggetto collettivo, dovendo tali accorgimenti essere consacrati in un documento che individui i rischi e delinei le misure atte a contrastarli.

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L’ente risponde, quindi, per fatto proprio, per essere venuto meno al dovere di organizzazione funzionale alla prevenzione del rischio-reato: in questa prospettiva, la colpa di organizzazione dell’ente finisce per assumere la stessa funzione che la colpa assume nel reato commesso dalla persona fisica, ovvero di elemento costitutivo del fatto tipico, integrato dalla violazione “colpevole” (ovvero rimproverabile) della regola cautelare.

Dalle condizioni di generale e diffuso ammaloramento delle passerelle poste ad una altezza di 5 metri, anche in punti diversi da quello interessato dal cedimento, viene così tratta la conferma dell’assenza di un programma specifico di manutenzione, sostituito da interventi estemporanei. Il camminamento risultava infatti visibilmente ammalorato (per la presenza di evidenti strati di ruggine), sia all’altezza del punto in cui c’era stato il cedimento, con la caduta del lavoratore, sia in punti diversi.

Le condizioni di deterioramento vengono – secondo i giudici – avvalorate proprio dalla scelta fatta della società, dopo il crollo, di procedere all’integrale sostituzione dell’attrezzatura. Pertanto, la mancanza di un programma degli interventi, insieme con la mancata previsione di effettive procedure di controllo, viene ritenuta indice di una carenza organizzativa che si è riverberata, sul piano causale, sulle garanzie per la sicurezza dei lavoratori.

Peraltro, non viene ritenuta sufficiente ad escludere la responsabilità la presenza di un modello di organizzazione aziendale – certificato secondo lo standard internazionale secondo quanto dispone l’art. 30 comma 5 del DLgs. 81/2008 – in quanto questo “non deve solo essere adottato, ma anche efficacemente attuato”. Carenza che, per la Cassazione, non è colmata nemmeno dalla avvenuta nomina dell’Organismo di Vigilanza.



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