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L’industria dell’idrogeno prova ad entrare nell’era del pragmatismo: a NetZero Milan 2025 il confronto tra imprese e istituzioni


di Francesco Bottino

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Produzione e tecnologie al centro della prima sessione

Terminata l’era degli – spesso troppo facili – entusiasmi, per l’idrogeno è giunto il momento di inaugurare un’epoca di pragmatismo. Un nuovo approccio basato sulla neutralità tecnologica, che deve considerare il reale potenziale di decarbonizzazione dell’H2 ragionando in termini di opportunità ed efficacia del suo utilizzo, e che ha bisogno di un quadro normativo adeguato, ‘depurato’ da obbiettivi velleitari e irrealizzabili, come tali molto spesso controproducenti.

Si questa falsa riga si è articolato il dibattito durante la vertical conferece ‘Clean hydrogen for a competitive decarbonizzation’, svoltasi nell’ambito di NetZero Milan 2025, l’expo-summit organizzato da Fiera Milano, in corso in questi giorni presso le strutture di Allianz MiCo, nel capoluogo lombardo.

Il compito di aprire i lavori, e di coordinarli in qualità di moderatore, è toccato a Stefano Campanari, Professore del Politecnico di Milano e membro della Hydrogen Joint Research Partnership (H2 JRP), che ha fornito una panoramica introduttiva sul ruolo dell’idrogeno nel contesto della transizione energetica, sul quadro normativo di riferimento in Italia e in Europa, sulle modalità di produzione e sulle potenziali applicazione del vettore.

“Per quanto riguarda i progetti in fase di sviluppo – ha spiegato Campanari – dopo una prima ondata di iniziative di piccola taglia, con capacità di elettrolisi tipicamente al di sotto della soglia dei 10 MW, oggi stiamo assistendo al lancio di progetti di size decisamente maggiore, come Normand’Hy di Air Liquide in Francia e Holland Hydrogen I di Shell, in Olanda, entrambi caratterizzati da una capacità di elettrolisi di 200 MW, e alla nascita di maxi-hub come NEOM, in Arabia Saudita, che avrà una capacità di elettrolisi complessiva di 2,2 GW”.

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A iniettare nel dibattito la prima dose di pragmatismo è stato Davide Bonalumi, anch’egli docente del Politecnico, attivo nel contesto della Hydrogen Joint Research Partnership (H2 JRP) con una ricerca finalizzata ad uniformare il calcolo dell’impronta carbonica della produzione di idrogeno, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, adottato un approccio basato sul Life Cycle Assessment (LCA).

“I risultati dello studio – ha sottolineato Bonalumi – evidenziano che non ha molto senso parlare di idrogeno verde, perché per esempio tra solare e eolico (in termini di energia utilizzata in input nell’elettrolizzatore; ndr) si riscontrano valori di impronta carbonica anche molto distanti tra loro. Inoltre, appare evidente come, almeno in taluni casi, l’H2 prodotto da steam reforming del metano con CCS possa essere competitivo non soltanto in termini economici, ma anche per ciò che riguarda l’impatto ambientale, con un’impronta carbonica, calcolata sempre in termini di LCA, paragonabile a quella della variante rinnovabile”.

Convinti della necessità di adottare un approccio tecnologicamente neutrale, che tenga conto del reale impatto dell’idrogeno in termini di decarbonizzazione, evitando di prediligere aprioristicamente una tipologia di produzione a scapito di altre, sono anche le principali big company che con la molecola di H2 hanno a che fare da molto tempo, come per esempio Air Liquide.

La multinazionale francese dei gas tecnici, rappresentata sul palco della vertical conference di NetZero Milan dal CEO della divisione italiana Edouard Neyrand, può vantare un’esperienza più che consolidata in tutti gli ambiti della filiera, dalla produzione al trasporto e allo stoccaggio, fino alla distribuzione agli utenti finali del vettore energetico: “Al momento siamo coinvolti in 15 progetti di H2 a livello globale, e insieme a Siemens Energy abbiamo realizzato una gigafactory di elettrolizzatori PEM in Germania, dove verrà realizzato l’impianto da 200 MW destinato al nostro progetto Normand’Hy”.

Dalla gigafactory tedesca di Siemens e Air Liquide a quella italiana che De Nora sta costruendo, in partnership con Snam, a Cernusco sul Naviglio, grazie alle risorse del programma IPECI Hy2Tech.

“Al momento – ha spiegato Antonio Lorenzo Antozzi, Chief Officer Energy Transition & Hydrogen di De Nora – la nostra capacità di produzione di impianti di elettrolisi, considerano che facciamo sia elettrodi, sia stack sia sistemi completi, è pari a circa 2,6 GW, ma quando la gigafacorty entrerà in funzione, nella seconda metà del 2026, supereremo i 3 GW”. Il nuovo stabilimento produttivo lombardo, infatti, avrà una capacità iniziale di 500 MW, ma grazie al suo assetto modulare potrà arrivare fino a 3 GW, realizzando sia componenti, in parte destinati alla joint-venture thyssenkrupp nucera, sia elettrolizzatori completi, che De Nora commercializza con il marchio Dragonfly.

“Lo sviluppo delle tecnologie di elettrolisi è fondamentale anche per la competitività dell’idrogeno verde, perché oggi una quota rilevante del LCOH (Levelized Cost of Hydrogen) è direttamente legata al costo dell’energia rinnovabile utilizzata in input. Quindi elettrolizzatori più efficienti, che consumano meno energia, consentono di ridurre il costo finale dell’H2” ha sottolineato Antozzi.

Tutto improntato al pragmatismo è stato anche l’intervento di Francesco Giunti, Head of Industrial Transformation Integrated Initiatives & Hydrogen dell’ENI, secondo cui “è indubbio che l’idrogeno avrà un ruolo nel processo di decarbonizzazione, ma bisogna capire bene quando e come ciò avverrà, considerando che certe previsioni forse andranno riviste”. Il riferimento del manager del ‘cane a sei zampe’ è a “taluni obbiettivi europei che appaiono davvero irrealizzabili, rischiando di danneggiare la filiera invece che sostenerla, e che non tengono conto del costo sociale di un passaggio all’idrogeno”.

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Costo che invece esiste, e che secondo le stime proposte da Giunti in Italia potrebbe arrivare a 1,7 miliardi di euro all’anno solo per raggiungere gli obbiettivi fissati nella Strategia Nazionale per l’Idrogeno.

Sempre nell’ottica di collocare l’idrogeno nella sua giusta prospettiva, il dirigente dell’ENI ha quindi ricordato che l’energia rinnovabile deve essere utilizzata innanzitutto per sostituire la produzione di elettricità da fonte fossile: “Questo è l’impiego più razionale dal punto di vista economico e ambientale. Se poi c’è un surplus di produzione, allora si che può avere senso utilizzare questa energia in eccesso anche per generare H2 green, ma si tratta di una condizione che difficilmente potrà verificarsi in modo strutturale in Italia e in Europa”. Diverso il discorso per quanto riguarda Nord Africa e Medio Oriente, dove invece le grandi potenzialità in termini di rinnovabili, unite ad una domanda interna contenuta, possono creare le condizioni per l’avvio di una produzione massiva di idrogeno verde a prezzi competitivi: “Secondo le stime, anche considerando i costi legati al trasporto, l’idrogeno che verrà importato dal Nord Africa attraverso il SoutH2 Corridro avrà un costo finale compreso tra 4 e 7 euro al Kg sul mercato italiano, mentre l’H2 importato via nave, sotto forma di ammoniaca, arriverà a 7-8 euro al Kg. Cifre che non si discostano in modo esagerato dall’idrogeno grigio, che viaggia sui 3-4 a Kg, ma che invece sono ben lontane dal costo che avrà l’idrogeno verde prodotto in Italia, che si attesterà attorno ai 15 euro a Kg secondo le nostre previsioni, e che potrà dimezzarsi solo in determinanti casi”.

Per tali ragioni, secondo Giunti, al fine di rispettare i target europei sugli RNFBO fissati nella RED III, “si potrà fare affidamento soltanto in misura marginale sulla produzione interna, sfruttando situazioni particolarmente favorevoli, specie nel sud Italia, mentre si dovrà fare ricorso in modo massiccio alle importazioni”.

La prima sessione della vertical conferece ‘Clean hydrogen for a competitive decarbonizzation’ si è quindi conclusa con gli interventi di Lesya Nadzon, Director Business Development Green Hydrogen di ACWA Power, che ha fornito un aggiornamento sullo sviluppo del progetto NEOM e delle altre iniziative della corporation saudita riguardanti l’idrogeno, e di Martin Skov Skjøth-Rasmussen, CTO di Elcogen, start-up che ha raccolto 165 milioni di euro tra fondi pubblici e investimenti privati per produrre celle ed elettrolizzatori con tecnologia a ossidi solidi in Estonia.

Infrastrutture, trasporto e usi finali nel secondo panel

Durante la seconda sessione del convegno milanese, dopo lo speech di Norela Constantinescu, Deputy Director dell’Innovation and Technology Centre (IITC) dell’IRENA, Piero Ercoli, Executive Director Decarbonization Unit di Snam, ha approfondito il tema delle infrastrutture parlando del SoutH2 Corridor e delineando un quadro che in futuro potrebbe replicare, per l’idrogeno, quello che oggi sta avvenendo per il gas naturale: “La quota maggioritaria delle importazioni avverrà via pipeline, ed è per questo che dobbiamo concentrarci fin da ora sullo sviluppo di una rete di condotte con iniziative internazionali come quella che stiamo sviluppando insieme ai nostri partner, con il supporto del Governo italiano e degli altri Paesi coinvolti”. Ciò non toglie – ha aggiunto Ercoli – “che una parte delle importazioni potrà viaggiare via nave, con l’H2 trasportato sotto forma di ammoniaca, come oggi avviene con il GNL che è complementare al gas naturale importato via tubo”.

Di trasporti ha parlato anche Eiji Ohira, Strategy Architect della Hydrogen Strategy Division di Kawasaki Heavy Industries, gruppo navalmeccanico giapponese che 2021 ha costruito la Suiso Frontier, la prima nave al mondo per il trasporto marittimo di idrogeno liquefatto, e che attualmente sta lavorando a unità dello stesso tipo, ma con dimensioni e capacità decisamente maggiori, mentre Marco Corbella, Vice President Metals di Tenova (società del gruppo Techint) ha concentrato il suo intervento sugli utilizzi finali dell’idrogeno e in particolare sulle applicazioni nell’industria siderurgica, citando diversi progetti di primo piano in cui l’azienda è coinvolta come fornitore di equipment, tra cui Hybrit di SSAB, in Svezia, e SALCOS di Salzgitter, in Germania.

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Corbella ha quindi ribadito la necessità di un approccio tecnologicamente neutrale anche in questo tipo di situazioni: “Recentemente il nostro gruppo ha lanciato Tulum Energy, una start-up che ha come scopo quello di sviluppare soluzioni per la produzione di H2 da pirolisi del metano (il cosiddetto idrogeno turchese), che anche se oggi è in parte sottovalutato, noi riteniamo potrà risultare molto competitivo in termini di costo finale, soprattutto nel contesto dell’industria siderurgica”.

Un quadro normativo in continua evoluzione

In chiusura di conferenza, l’attenzione si è spostata sul quadro normativo di riferimento, e in particolare sulla Strategia Nazionale per l’Idrogeno presentata ufficialmente lo scorso novembre, che il Governo – come spiegato da Luca Ventorino, della Segreteria Tecnica del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica – ha voluto delineare adottando proprio quell’approccio pragmatico tanto auspicato dai player dell’industria: “Invece che fissare dei target precisi, che poi potrebbero essere fuorvianti per le nostre industrie, abbiamo preferito delineare una serie di scenari, tenendo conto peraltro di un contesto globale completamente mutato rispetto ad alcuni anni fa, che ci impone di considerare, al fianco degli obbiettivi di decarbonizzazione, anche gli aspetti legati alla sicurezza energetica”.

Sempre con il medesimo approccio, l’esecutivo sta in questo momento lavorando al recepimento della direttiva RED III, “che doveva completarsi entro fine maggio, ma che invece richiederà più tempo del previsto”, e sulla definizione del cosiddetto decreto tariffe, che prevede una serie di misure di sostegno agli opex dei progetti di idrogeno nella forma di contratti per differenze “e che in questo momento è oggetto di una interlocuzione con Bruxelles”.

Infine, Luigi Crema, Presidente di Hydrogen Europe Research e Vicepresidente di H2IT, ha fatto il punto sullo sviluppo della filiera tecnologica europea, che sta perdendo terreno rispetto alla competizione globale, e soprattutto asiatica – “solo 3 anni fa i produttori di elettrolizzatori dell’UE avevano il 50% del mercato, mentre oggi la loro quota è scesa al 30%” –  e ha poi confermato che regole troppo rigide possono essere controproducenti: “I vincoli particolarmente stretti per la produzione di idrogeno rinnovabile presenti nell’Atto Delegato sugli RFNBO non facilitano la creazione di un mercato dell’H2. Anzi, rischiano di ostacolarlo facendo ulteriormente lievitare il costo finale del vettore energetico. Per questo – ha detto Crema – 12 Paesi membri dell’UE hanno chiesto alla Commissione di rivedere questi criteri, cosa che probabilmente avverrà nel corso del 2028”.



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