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perché il futuro dell’AI si gioca sulla qualità del dato


Nel mondo della tecnologia, le ondate di innovazione si susseguono con rapidità. Oggi è il momento dell’intelligenza artificiale. Ma senza una gestione profonda dei dati a monte, l’AI rischia di essere adottata più come simbolo di modernità che come strumento realmente integrato nei processi aziendali.
Durante un incontro riservato alla stampa, Axiante – system integrator e partner tecnologico specializzato in progetti data-driven – ha offerto il suo punto di vista sul tema tracciando un quadro su come generare reale produttività attraverso l’AI in un contesto – quello italiano – spesso frammentato, opaco nei processi e affaticato da una governance del dato ancora immatura.

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Le imprese italiane tra entusiasmo e indecisione

Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante, ha aperto l’incontro sottolineando come: “In Italia le aziende che hanno davvero messo l’AI come priorità è un numero molto contenuto”. Una constatazione che mette in luce le aspettative sull’AI e la sua effettiva adozione nel tessuto imprenditoriale italiano.
La situazione attuale, secondo Scaccabarozzi, somiglia ad altri trend tecnologici del passato: “Quello che stiamo vivendo ora con l’AI, è qualcosa che abbiamo già visto con altre tecnologie: c’è entusiasmo, ma spesso manca concretezza”. E aggiunge: “Le aziende si stanno ancora chiedendo: a cosa mi serve davvero l’AI? E soprattutto, quale ritorno posso ottenere?”. Proprio la difficoltà a misurare il ROI – ritorno sull’investimento – è, secondo l’AD di Axiante, uno dei principali ostacoli alla diffusione dell’AI in azienda.

Romeo Scaccabarozzi
Romeo Scaccabarozzi, Amministratore Delegato di Axiante

Ci sono, però, ambiti che mostrano segnali positivi. Scaccabarozzi cita un recente Report McKinsey pubblicato a marzo 2025, The State of AI: How Organizations Are Rewiring to Capture Value, secondo cui l’AI sta trovando applicazione in funzioni come marketing, sales e sviluppo del prodotto – dove può avere un ruolo predittivo – ma anche nelle aree di risk, legal e compliance, dove la capacità dell’AI di prevenire frodi o rischi rappresenta un valore potenziale molto importante.

Fonte: McKinsey

L’AI non è autosufficiente, ha bisogno di dati di qualità

Senza una base dati solida — in termini di quantità, qualità e non ultima, affidabilità — qualsiasi progetto legato all’intelligenza artificiale rischia di arenarsi prima ancora di produrre valore. Troppo spesso si tende a pensare che l’efficacia dei sistemi di AI sia garantita automaticamente dalle tecnologie impiegate. Al contrario, la vera leva strategica resta il dato: se i modelli vengono alimentati con informazioni scarse, distorte o poco aggiornate, i risultati saranno inevitabilmente inconsistenti, anche con gli algoritmi più evoluti.
In questo scenario, i dati sintetici sono diventati una soluzione a molte delle criticità legate alla disponibilità e conservazione dei dati reali. Un’alternativa in assenza di dataset completi o utilizzabili. Come sottolinea Mirko Gubian, Global Demand Senior Manager e Partner di Axiante: “Uno dei principali vantaggi dei dati sintetici è la possibilità di eliminare i dataset originali, conservando solo ciò che è strettamente necessario. Questo consente di mantenere la conformità normativa o di compliance e ridurre i costi legati alla conservazione”.

Il ruolo dei dati sintetici: carburante alternativo, non surrogato

Alla base della generazione di dati sintetici c’è sempre un dataset originale. “In molti casi” spiega Gubian “i dati ci sono, ma o non possiamo conservarli o possiamo solo per un periodo limitato. E allora è utile poterli rigenerare in forma sintetica mantenendo il valore informativo”. In sostanza, il dato anonimizzato può essere usato in modo coerente con il contesto di business, senza compromettere la qualità delle analisi.
Citando le previsioni degli analisti di Gartner, Gubian ha ricordato che “entro il 2030, il 90% dei dati utilizzati sarà generato sinteticamente“. Questo perché ci portiamo dietro i limiti dei dati reali. Ma come spiega Gubian, l’obiettivo non è creare dati finti ma replicare fedelmente le caratteristiche statistiche e di business. “Non basta generare numeri, servono test, analisi, esperienza. Serve sempre un dataset di partenza e va fatto un lavoro serio di progettazione e validazione. Noi dedichiamo molta attenzione alla fase di test proprio per capire se il modello si porta dietro BIAS impliciti”.
Antonio D’Agata, Strategic Accounts Director e Partner di Axiante, descrive l’evoluzione del rapporto tra aziende e dati attraverso due tecnologie chiave: la Customer Data Platform (CDP), che organizza e centralizza le informazioni, e la Customer Intelligence (CI), che le analizza per generare valore: “L’intelligenza artificiale collega questi due mondi trasformando i dati in insight strategici”. In Italia, osserva, l’adozione è ancora agli inizi, ma con gli investimenti in cloud e AI generativa si prevede una crescita, soprattutto nei settori retail, bancario e sanitario.

Dati, AI e produttività

Axiante adotta una visione pragmatica dell’intelligenza artificiale. “Siamo partiti dalla business intelligence, poi abbiamo visto che molte aziende erano impreparate su planning e forecasting. Ora siamo entrati nella fase del data for AI”, spiega Mirko Gubian. “Il nostro ruolo di integrator ci permette spesso di intervenire su infrastrutture già esistenti, ottimizzandole per generare vero valore di business” conclude.
La collaborazione con partner come SAS consente ad Axiante di progettare architetture in risposta alle esigenze di trasformazione digitale delle imprese.
“Il tema della produttività è centrale” aggiunge Romeo Scaccabarozzi, citando dati Eurostat, “l’Italia, negli anni, ha registrato una crescita della produttività reale per ora lavorata di +2,3%, molto basso se si paragona ad altri paesi come il +18% della Spagna. È evidente che serve un cambio di passo, e l’AI può fare la differenza. Ma il punto di partenza resta sempre il dato – reale o sintetico”.

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