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i dazi ridefiniscono le traiettorie strategiche delle imprese italiane


L’impatto delle politiche protezionistiche introdotte da Donald Trump si manifesta con immediatezza: il 58% delle aziende italiane ha già deciso di posticipare gli investimenti, mentre il 54% sta attivamente diversificando i mercati di riferimento per contenere le conseguenze delle nuove regole tariffarie.

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EY-Parthenon Bulletin: i dazi ridefiniscono le traiettorie strategiche delle imprese italiane

Nei primi quattro mesi del 2025, il numero di acquisizioni in Italia ha registrato una contrazione del 16% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma parallelamente si osserva un’accelerazione significativa degli investimenti verso mercati esteri, segnale della volontà di reagire in modo strategico a uno scenario internazionale instabile. L’intelligenza artificiale, nodo cruciale per la competitività futura, viene a sua volta riconsiderata: il 40% delle imprese italiane sta rivalutando l’intensità degli investimenti a fronte delle incertezze sui ritorni attesi.

In questo contesto di crescente instabilità economica globale, la prospettiva di una difesa comune europea non rappresenta soltanto una necessità geopolitica, ma anche un’opportunità industriale strategica per il sistema produttivo italiano, in particolare per le imprese della filiera nazionale che, pur caratterizzate da dimensioni ridotte, potrebbero trarre vantaggio da un rafforzamento coordinato delle capacità europee.

Marco Daviddi, Managing Partner di EY-Parthenon in Italia (in foto), evidenzia come le imprese italiane stiano già adottando misure per mitigare l’impatto dei dazi e diversificare i mercati, sottolineando l’importanza di non trascurare ambiti strategici quali contenimento dei consumi energetici, sviluppo sostenibile, trasformazioni dei modelli operativi e impatto dell’AI. Il mercato M&A e il Private Equity, nonostante un avvio sottotono, mostrano segnali di resilienza con 390 acquisizioni annunciate nei primi quattro mesi del 2025 per un valore di circa 9 miliardi di euro, in calo del 16% per numero di operazioni e del 70% per volume rispetto allo stesso periodo del 2024, a causa della riduzione dei megadeal.

Il comparto industriale guida con il 24% delle operazioni, seguito dai beni di consumo (17%) e dal settore tecnologico (11%). Daviddi segnala che si stanno ponendo le basi per operazioni transformative nei settori finanziario, moda e industria, con una liquidità ancora elevata e il Private Equity pronto a giocare un ruolo chiave. Il 46% dei CEO italiani e il 57% di quelli globali prevedono operazioni M&A per accrescere massa critica, sinergie ed efficienze, mentre gli investimenti all’estero delle imprese italiane, con meno di 100 deal, hanno raggiunto circa 10 miliardi di euro grazie a operazioni di dimensioni significative. Le joint venture e le alleanze strategiche rappresentano per il 68% degli intervistati la leva prioritaria per condividere investimenti e affrontare la rivoluzione tecnologica.

Nonostante la contrazione del Private Equity legata alla bassa fiducia e all’attesa di un ulteriore calo dei tassi, la pipeline resta solida, con particolare attenzione al consolidamento bancario e assicurativo. Nei primi quattro mesi del 2025 si registrano 150 operazioni di buy-out su target italiane per circa 4,5 miliardi di euro, rispetto alle 208 operazioni per 10,1 miliardi nel 2024, con i fondi che rappresentano il 39% degli acquirenti e una quota importante di investimenti effettuati tramite portfolio companies.

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Il settore consumer, inclusi grocery, retail e fashion & luxury, risente in modo differenziato dei dazi USA: il grocery appare più resiliente, ma si intensifica l’attenzione al prezzo per mantenere la domanda; nel retail non-food si prevede consolidamento e aumento delle transazioni online; nel fashion & luxury la sospensione temporanea dei dazi da parte di Trump offre un sollievo, ma le tensioni restano. Il 2025 è cruciale per la diversificazione geografica dei brand italiani, soprattutto verso mercati non statunitensi, con una riflessione sull’elasticità della domanda rispetto ai prezzi e sulla possibilità di trasferire parte dell’aumento dei costi lungo la filiera produttiva, oppure assorbirli in termini di marginalità.

Alcune aziende stanno valutando l’opportunità di trasferire capacità produttiva negli USA, sebbene si tratti di un processo complesso nel breve termine.

La domanda globale sarà condizionata dalla politica americana e i consumatori si orienteranno verso acquisti più selettivi, attenti alla qualità, alla personalizzazione e all’identità creativa, definendo una nuova idea di lusso consapevole. Il settore della difesa in Europa entra in una fase di rinnovamento profondo con l’Italia potenzialmente protagonista, alla luce della risoluzione del Parlamento europeo per il Libro Bianco “Defence Readiness 2030” che mira a colmare lacune industriali e rafforzare il mercato comune.

Pur in presenza di un dibattito politico frammentato, l’incremento della spesa per la difesa rappresenta un’opportunità per il Paese, terzo produttore europeo di tecnologia militare, ma permane una criticità legata alla struttura dimensionale del comparto nazionale, composto da circa 4.000 imprese, il 90% delle quali con meno di 10 dipendenti e solo 21 con un fatturato superiore a 200 milioni di euro. La frammentazione suggerisce la necessità di un percorso di aggregazione industriale che consenta alle aziende di rispondere in modo adeguato alla crescita degli investimenti attesi, processo che dovrebbe essere sostenuto dal settore pubblico attraverso incentivi e misure di supporto.



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