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La biodiversità perduta


La saggezza dei popoli ha ben chiaro da sempre che tentare di regolare artificialmente le forze della natura causa disastri incontenibili. Il problema è che attualmente chi prende le decisioni rispetto agli interventi da fare sui territori è completamente scollegato dalle comunità che su questi territori vivono e non segue dunque le regole del bene comune ma gli imperativi categorici di far denaro a tutti i costi nel modo più veloce e massimizzato possibile.

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A livello commerciale/finanziario, il ruolo svolto dai decisori delle economie avanzate con la complicità della Banca Mondiale, si esplica nell’imporre interventi che depredano i territori delle loro risorse, devastandoli, per ottenere enormi profitti in tempi brevi. I prezzi agricoli vengono stabiliti nelle Borse Merci internazionali (Chicago, Parigi, Londra, Mumbai) che sono realtà private gestite dai grandi fondi finanziari globali, votati a tenere in pugno i paesi ricchi di risorse per farli indebitare e continuare a depredarli. Gli agricoltori, pur fornendo gli alimenti ai popoli del pianeta, sono fortemente vessati sotto molti aspetti: ogni anno devono ricomprare i semi; i prezzi del loro raccolto sono stabiliti altrove da un mercato finanziario che non fa i loro interessi ma quelli del commercio globale e della speculazione; le poche specie vendibili, che rispettano i requisiti richiesti per essere immesse sul mercato globale, richiedono un uso sempre più massiccio di costose sostanze chimiche quali concimi, diserbanti, antiparassitari e, per di più, la coltivazione di specie cosi uniformi espone più facilmente i contadini al pericolo di perdere tutto il raccolto o l’allevamento, per il diffondersi di malattie parassitarie, oltre a pagare di persona per le conseguenze del riscaldamento del clima con gli inevitabili danni da disastri ambientali.

Attualmente sono solo poche (Bayer/Monsanto, Corteva, ChemChina, Limagrain) le multinazionali che si occupano della produzione e commercio dei semi, che inoltre producono fertilizzanti, pesticidi, diserbanti. Purtroppo, alcuni governi corrotti di paesi in via di sviluppo proibiscono ai contadini l’uso dei propri semi, da sempre condivisi, scambiati e ripiantati, obbligandoli a comprare i semi brevettati posti in commercio che sono sterili, danno il raccolto da vendere ma non possono essere ripiantati l’anno dopo (Ogm Tecnologia Terminator); da notare che si è passati da 120 brevetti del 1990 a 12.000 oggi. Tutto questo naturalmente incrementa la povertà e la fame. Intorno al 2009 per la connivenza tra Governo indiano e Monsanto si suicidarono100.000 contadini e da qui ebbe inizio la lotta contro la bio pirateria per l’utilizzo dei propri semi avviata e vinta dopo lunghe vicissitudini da Vandana Shiva con le popolazioni rurali del suo paese.

Gli agricoltori sono l’unica grande categoria aziendale che non può stabilire il prezzo del proprio lavoro. Ad esempio il prezzo mondiale dei cereali viene deciso nelle Borse internazionali da quattro grandi multinazionali ABCD (Archer, Bunge, Cargill, Dreyfus) che non hanno terreni ma gestiscono allevamenti, fabbriche di fertilizzanti, infrastrutture, terminal e, secondo il Parlamento Europeo, incrementano così le speculazioni.

In Europa, con il prezzo del grano sempre più altalenante e basso stabilito dalle multinazionali in Borsa, i contadini delle aziende famigliari si trovano in grosse difficoltà poiché le spese per la coltivazione e l’allevamento superano i guadagni ottenuti dalla vendita dei loro prodotti e così le piccole aziende agricole, che assicurano la cura dei territori, la protezione degli ecosistemi e la biodiversità, sono costrette a chiudere vendendo la loro terra a poco prezzo alle grandi multinazionali dell’agrobusiness. Esse spianano i terreni comprati, estendono la coltivazione intensiva ed eliminano quelli che sono considerati gli ostacoli al procedere delle loro grandi macchine agricole, cioè, alberi, siepi, cespugli, fossi, fondamentali per gli impollinatori e base della vita, con grave perdita di biodiversità; secondo la FAO tra il 1900 e il 2000 è scomparso il 75% delle varietà agricole mondiali. Inoltre, le coltivazioni avvengono inondando i terreni dei prodotti chimici da loro stesse prodotti, spianando così la strada alla sterilità dei suoli (80 %). Si tratta di una forma sottile di land grabbing (furto di terra) che sta invadendo anche l’Europa dopo i paesi in via di sviluppo.

Qualcuno potrebbe obiettare che i contadini europei ricevono grossi finanziamenti dai fondi PAC (Politiche Agricole Comunitarie) per riequilibrare il fatto che i prodotti agricoli provenienti dal resto del mondo costano molto meno, essendo meno cara la manodopera. Ma, in realtà, le PAC vanno soprattutto ai giganti dell’industria dell’agroalimentare legati a commercio, distribuzione, allevamento intensivo e quel poco che resta va alle grandi aziende cosicché ai piccoli contadini, custodi della biodiversità e dei territori, non arriva praticamente niente. Negli ultimi vent’anni sono state chiuse in Italia 1.260.000 aziende agricole familiari, di cui 357.000 nel 2023 con 2.070 fallimenti, in pratica 1.285 che chiudono ogni giorno lavorativo. Tra il 2000 e il 2016 è scomparso il 46,8 % delle imprese italiane e in Europa 5 milioni negli ultimi 15 anni.

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La consapevolezza dello stretto rapporto tra agricoltura ed ecosistemi in buona salute ha pervaso da sempre le azioni delle comunità contadine abituate ad adeguarsi ai cicli della natura, tenendo conto delle tradizioni tramandate anche oralmente riguardo l’ambiente intorno a loro. Per contro non sfiora minimamente la finanza internazionale che mira a monetizzare qualsiasi sua azione nel più breve tempo possibile, indipendentemente dalle conseguenze sociali ed ambientali anche disastrose per chi abita quei territori.

Il meccanismo è lo stesso da sempre. Da un calcolo approfondito e complesso svolto dal New York Times nel 2022 risulta che l’economia di Haiti, paese tra i più poveri al mondo, è stata devastata dal debito imposto dai Francesi agli ex schiavi rivoltatisi all’atto dell’Indipendenza, 1804, e il prezzo dell’indipendenza, pena l’invasione, richiesto nel 1825 per ripagare l’allontanamento dei latifondisti schiavisti, che avevano a lungo sfruttato gli abitanti e le risorse dell’isola fu di 150 milioni di franchi (560 milioni di dollari attuali). Il debito, ingigantito negli anni dagli interessi passivi, è stato a sua volta rilevato dalle Banche USA quando Haiti entrò nella loro sfera di influenza e dal calcolo risulta che il valore reale in termini di mancato sviluppo sia stato ripagato ad ora con oltre 21 miliardi di dollari ed ha nel tempo precluso qualsiasi investimento sociale, agricolo, ambientale, riducendo il paese sul lastrico, costantemente preda della malavita e della fame. Molte sono le cause che mantengono invariata questa situazione di miseria cronica: gli interessi delle multinazionali che impongono le loro politiche agricole a discapito delle coltivazioni utili per sfamare la popolazione del paese e ne depredano le ricche risorse naturali, con un tasso di interesse esponenziale in certi decenni del 17,5% . A ciò si è aggiunta la lunga dittatura di Duvalier, sostenuto dagli USA, il cui figlio Baby Doc in fuga è stato accolto in Francia malgrado le terribili malefatte; egli ha accumulato ben 900 milioni di dollari in Svizzera dove l’UBS (Unione delle Banche Svizzere) continua a opporsi alla restituzione dei soldi allo Stato haitiano, congelandoli con cavilli pretestuosi e richieste capestro.

È chiaro che per sconfiggere la fame nel mondo va cambiato completamente il modello di sviluppo. Il caso di Haiti è emblematico ma non è l’unico. Haiti fa il paio con il Congo, secondo paese più povero al mondo e uno dei paesi più ricchi di materie prime sul pianeta, piegato da un debito pesantissimo imposto dagli ex colonialisti per il riconoscimento dell’indipendenza del paese e martoriato da guerre fratricide fomentate dalle multinazionali tra bande di criminali, che hanno ridotto le popolazioni a miseria e fame.

Insomma, la ricchezza di risorse di un territorio, che fanno gola ai grandi capitali determinando la devastazione dell’ambiente, è spesso un pericolo per la prosperità e la democrazia di quel paese. Ne sono ben consapevoli la FAO e l’ONU che cercano con fatica, diplomazia e pazienza, di valorizzare il ruolo delle comunità autoctone e le aziende agricole familiari, primo antidoto davvero efficace contro la fame nel mondo e per la difesa della biodiversità, come dimostrato in vari studi internazionali. Il tema del rapporto tra Agricoltura Biodiversità Finanza è affrontato nelle COP (Conferenze delle Parti), l’ultima n. 16 svolta a Roma, dove procede con fatica l’istituzione dei fondi per lo sviluppo (Fondo Cali) che le economie prospere dovrebbero fornire ai paesi poveri, anche perché essi pagano più di tutti le conseguenze dei disastri ambientali. Ma la vera giustizia globale sarebbe l’azzeramento del fardello ineliminabile dei debiti dei paesi poveri, debiti causati in realtà dagli spropositati interessi passivi richiesti loro dalle banche delle nazioni ricche, le quali hanno fondato la propria prosperità sullo spietato sfruttamento coloniale e capitalistico avvenuto fin dai secoli passati.



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